Quattro brani, scarsa mezz'ora (il minor minutaggio della storia prog) e un concept su Hegel. Il quartetto romano, appena uscente dall'esordio "mistico" de "La Bibbia", nel 1972 si cimenta in tematiche filosofiche. La formazione mitica è Pino Ballarini alla voce, Enzo Vita alla chitarra, Stefano Urso al basso e Gino Campoli alla batteria. Andavano per la maggiore i rifacimenti di musica classica e i concept religiosi, e loro esplicarono ottime idee su entrambi i fronti. Il primo album conteneva già spunti originalissimi nei fraseggi ritmici che valorizzavano soprattutto le spigliate doti tecniche. Basso che dialoga perfettamente con la chitarra nei loro frequentissimi duelli e un'amplificazione da paura, la più potente dell'epoca e che venne anche rubata nel perodo post "Contaminazione", sancendo purtroppo la fine della band.

Prodotto mastodontico curato dalla RCA: tre edizioni differenti, copertina forata, testi e, limitatamente nelle prime copie, anche il medaglione bronzato con il logo della band e il titolo del lavoro. I toni torvi dell'artwork (cover completamente nera e scritture in bianco) annunciano un inasprimento dell'assetto. Il suono, seppur possente nei primi brani dell'esordio ("Il Giudizio" e "La Creazione" sono i picchi), diventa ancora più sporco, grezzo ed elaborato. La loro e' una concezione perfettamente prog, teatrale, ma senza l'uso delle tastiere, almeno fino a questo momento. Basso e chitarra non fanno sentire la mancanza di violino, piano o moog. Abbiamo comunque sia l'immancabile flauto che addolcisce alcuni passaggi. E' un'ensamble hard rock che guarda oltre, lontano, lungimirante in poche parole.

La qualità del suono migliora rispetto al sulfureo "La Bibbia" ed impeccabili sono le trame narrative dell'opera. Lo scuro disegno dell'incipit "Io", inaugurata dal gong, chiarisce subito l'ambient del lavoro. Rimaniamo intrappolati nel labirinto sonoro mentre a poco a poco si fa avanti la voce surreale di Ballarini. Essa è la cornice della suspence e del pathos, ovvero gli elementi predominanti dei quattro brani. All'epoca i primi passi "dark" erano stati mossi da Atomic Rooster e Black Sabbath, ma questa band nostrana dimostra di essere perfettamente alla pari con le realtà estere.

Si crea un filo al quale scorrono e si evolvono le strutture delle canzoni, come di solito appunto nei concept, e con la seconda composizione "Fenomeno" si rimane sui livelli annunciati dall'incipit. C'è anche stasi e riflessione con i vari inserti acustici e un accenno di psichedelia con l'ottima coristica. La pecca di alcuni lavori italiani degli anni Settanta è la voce e la qualità dei testi. Qua niente è invecchiato male. A volte, per quanto siano portanti le linee di Urso al basso, sembra che la chitarra abbia addirittura una funzione di supporto..

Con "Non Io" troviamo melodie ammalianti nella voce e cambi di ritmo repentini. Il livello qualitativo non cala con l'ultima "Io Come Io" grazie a un ritorno ai suoni duri e ad ottimi riff di Enzo Vita, dove qui sembra racchiudere in sette minuti i primi quattro album di Iommi & Co.

L'anno dopo troviamo "Contaminazione" e il rifacimento di Bach, arrivando ai livelli di "Concerto Grosso" dei Trolls, e mostrando un'altra metamorfosi stilistica. Si lasciano i toni cupi del predecessore e si allietano gli arrangiamenti di Bacalov con le varie "Cella", "Il Suono Del Silenzio" e "La Grande Fuga". Dopo il danno recato agli imponenti watt della strumentazione la band si perse, abbandonando la fama conquistata e i concerti sanguigni in largo e lungo per l'Italia. Da non dimenticare, conoscere ed apprezzare.

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