A due anni di distanza dall'osannato "Dell'impero delle tenebre" ritroviamo Il Teatro Degli Orrori alle prese con il nuovo disco "A sangue freddo", un album che è un pugno nello stomaco dato con amore.

I temi trattati in questo nuovo capitolo riprendono quelli dell'opera precedente, ovvero religione, amore, politica. Quello che si nota di primo acchito è la maggior cura prestata ai testi e una maggior ricercatezza sulle sonorità, che in parte si distaccano dallo schema gesù lucertoliano cui ci avevano abituati (soprattutto con la vecchia sigla OneDimensionalMan: quanto mi mancano!).

Che il sipario si alzi! 

L'iniziale "Io ti aspetto" fa da intro prima dell'apertura alle danze del nostro teatro preferito: sonorità soffuse, dolcissima melodia sorretta dal violoncello e dal violino di Angelo Maria Santisi e Nicola Manzan e dal pianoforte di Paola Segnana, ideatrice della partitura musicale di questo brano.

"Due" e "A sangue freddo" sono i titoli seguenti, brani che probabilmente qualcuno di voi avrà visto in forma embrionale dal vivo: nel primo ritroviamo Capovilla impersonificato nella lei che viene lasciata sola dopo una tormentata storia d'amore, il sottofondo è perfettamente sorretto dagli innesti ritmici di Franz Valente (a mio avviso uno dei migliori batteristi rock italiani) e dalla chitarra molto "delle tenebre" di Gionata Mirai; la title-track si concentra sull'assassinio di Ken Saro Wiwa, poeta e attivista nigeriano impiccato con l'accusa di aver incitato all'omicidio di otto suoi oppositori. Pierpaolo si scaglia contro la sentenza e grida vendetta, la musica è insospettabilmente pop-rock (nell'accezione più vasta possibile del termine).

"Mai dire mai" è l'ideale anello di congiunzione tra vecchie e nuove sonorità: l'inizio sembra prelevato pari pari dall'attacco di "Nub" dei Jesus Lizard, mentre la coda finale sfuma acusticamente, riallacciandosi a "La canzone di Tom".

"Direzioni diverse" lascerà spiazzati i molti e fedeli fan di questo gruppo. Nessuna sfuriata chitarristica, nessun drumming sincopato e martellante. Viceversa una veste completamente elettronica in cui basso e chitarra pennellano suoni colorati e d'atmosfera (gran parte del merito va attribuita alla collaborazione dei Bloody Beetroots).

"Alt!" è l'analisi tragicomica di quello che ti potrebbe succedere se fossi fermato da una pattuglia per un controllo di routine. La musica è insospettabilmente danzereccia e sicuramente diventerà un altro cavallo di battaglia durante le loro infuocate esibizioni, insieme a "Terzo Mondo", nella quale viene descritta abbastanza celatamente (ma anche no) la situazione italiana equiparata all'attuale Terzo Mondo e in cui Capovilla si permette di autocitarsi con la frase "Ma porca miseria..." (andate a risentirvi "You Kill Me" per averne conferma).

Degna di nota pure la traccia conclusiva, la dilatata "Die Zeit" che si distacca notevolmente rispetto a tutto il resto dell'album. Un pezzo molto oscuro, che mi ricorda vagamente le sperimentazioni musicali dei Melvins e dei Tool in "Divorced". All'interno ci possiamo trovare davanti lo scontro percussivo Valente-Battaglia (batterista degli ottimi Zu), il tintinnare dei bicchieri (per opera di Robert Tiso) e un ticchettio di sveglia, che ci ricorda quanto sia breve la vita e come il tempo scorra inesorabilmente.

La produzione è affidata ancora una volta a Giulio "Ragno" Favero, che ha permesso al nuovo disco di suonare più rock e leggermente più pulito rispetto al disco precedente, senza intaccare l'impatto "da zecca comunista" del gruppo.

Ricordo che il disco verrà distribuito da Universal, probabilmente per permettere di trovarlo reperibile non solo ai loro concerti ma anche in alcune catene più reticenti. O forse la volontà è quella di avere un riscontro importante di pubblico? "Ma chi se ne fotte!"

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