Nella mia esperienza concertistica mancava ancora il grande evento, quello con decine di migliaia di persone in una calca inimmaginabile. Sì, già i Muse di due anni fa con 6 date sold-out al Forum lo erano ma sempre di palazzetto si trattava, non proprio di una vasta area dove se non arrivi con sufficiente anticipo vedi tutto microscopico. In realtà non è che me ne fregasse più di tanto, spesso più grandi sono gli eventi e più l’offerta tende al mediocre. Però l’emozione alla fine l’ho provata anch’io. Questo grazie al mio vecchio e fidato amico che ha insistito per andare a vedere gli Imagine Dragons. Senza di lui probabilmente non mi sarei fatto lo sbatti di stare in piedi da solo per ore in mezzo a 60.000 persone per un gruppo che alla fine mi piace sì ma con le dovute misure.
Un’odissea più che un concerto, cominciata dall’interminabile passerella (quanto cazzo sarà lunga???) che bisogna percorrere dall’uscita della metropolitana Rho-Fiera fino all’area concerti, per fortuna ben indicata dai cartelli e con tanta gente che va in quella direzione e che quindi diventa un comodo riferimento da seguire.
Quando arrivo ci sono già sul palco The Vaccines. Mai ascoltati prima, da quel che sento sembrano una prescindibile e trascurabile band indie-rock, dai riff di chitarra diretti e cazzuti e poco altro da offrire, non provo molta simpatia per questo tipo di band, io che cerco sempre la genialità, la ricercatezza, la varietà.
Poi scoppia il diluvio, previsto dai meteorologi, prima più forte poi un po’ meno ma che non accenna a cessare; non tutti l’avevano messo in conto, probabilmente nemmeno io né il mio amico, un sacco di gente cerca riparo come e dove può, nei bagni, nelle tettoie che costeggiano l’area ristoro o perfino sfruttando gli alberi. Il timore di un annullamento da un momento all’altro è concreto, così come l’interrogativo relativo al rimborso o meno in tal caso, ma alla fine si va avanti in un modo o nell’altro, pur con qualche ritardo. Salgono sul palco pure i Måneskin, band prodotto del vivaio di X-Factor, ma io ne approfitto per ripararmi e asciugarmi un po’ nei bagni; sarà che sono un po’ prevenuto sui nomi che spuntano fuori dai talent ma ero poco interessato; sentendoli alla fine non sono nemmeno malaccio ma per il momento (a settembre 2018, dato che ora l’album di debutto è uscito) sono un’inutile cover-band ancora priva di album pubblicati.
Nel frattempo ecco che il mio amico arriva dopo aver avuto la brillante idea di andare nel pomeriggio all’inaugurazione di Starbucks e del suo caffè annacquato e dopo aver rischiato di non entrare per via di un caricatore portatile (da quanto mi dicono viene rimbalzato pure negli stadi) che alla fine proverà inutilmente a nascondere sotto un distributore automatico per poi non ritrovarlo più. Arriva in maniche corte e totalmente sprovvisto di mezzi di riparo (tipico del suo stile) e si fionda subito in mezzo alle interminabili code ai chioschi dei panini (anche qui pienamente nel suo stile, eheh).
Poi ecco che l’esibizione degli Imagine Dragons può cominciare; penso di tenere l’ombrello aperto ma c’è gente che si vede la visuale ostacolata e mi chiede di chiuderlo, mi rimprovero di non aver portato il K-Way come tanti hanno fatto, alla fine mi arrangio con un maglioncino sulla testa, a costo di sembrare ridicolo. Invece il vocalist Dan Reynolds si presenta sul palco addirittura in pantaloncini e a petto nudo; sembra quasi una presa in giro, quasi come volesse dire “voi morite di freddo sotto la pioggia ed io invece vi faccio vedere quanto sono forte e resistente!”
La band si esibisce presentando quasi per intero l’ultimo (ancora per poco e mica lo sapevo che lo sarebbe stato ancora per poco) album “Evolve”. Lasciano fuori soltanto la conclusiva “Dancing in the Dark”, che invece si sarebbe sposata piuttosto bene con i colori piuttosto grigi dell’atmosfera circostante, in effetti danzando nell’oscurità è esattamente quello che un po’ tutti stavamo facendo. Così facendo lasciano però poco spazio a tracce dall’album precedente “Smoke + Mirrors”, si limitano soltanto a “Shots”, che introducono intelligentemente al pianoforte. Una buona manciata invece dal primo album “Night Visions”, con 4 estratti, due addirittura piazzati in piena apertura, “Radioactive” viene introdotta dall’intera band alle percussioni, dimostrando ancora una volta la propria predilezione per sonorità percussionistiche e quasi tribali, che non mancano mai di inserire nei loro dischi; poi “It’s Time” con l’immancabile mandolino elettrico suonato dal chitarrista Wayne Sermon; su “Demons” invece Dan intona un interessante monologo sulla depressione (di cui egli stesso avrebbe sofferto) e sull’importanza del dialogo per uscirne; è tuttavia “On Top of the World” il brano che scalda il pubblico facendo definitivamente dimenticare la pioggia, tutti cantano e ballano, se non addirittura saltellano sul posto, un brano che già si mostrava accattivante in studio, era abbastanza scontato l’effetto che avrebbe avuto in sede live.
Spicca poi una breve cover di “Every Breath You Take” dei Police, che anche il pubblico più giovane intona a dimostrazione di quanto i grandi classici del passato sappiano arrivare senza problemi anche alle generazioni future; temevo che in molti avessero il coraggio di cantare “I’ll be missing you” anziché “watching” come accadeva nella pseudo-cover realizzata da Puff Daddy, ma il pericolo è stato scampato (si tratta di una versione tuttavia anch’essa piuttosto datata e comunque meno celebre, probabilmente nemmeno troppo conosciuta da ventenni e millennials). In scaletta anche la nuovissima “Natural”, appena pubblicata nonché anticipo dell’imminente nuovo album “Origins”, poi uscito a novembre.
La resa sonora rende giustizia alla band; spesso ho criticato la band per le scelte di produzione piuttosto discutibili adottate in studio, qui in sede live invece tutto sembra filare per il verso giusto; il sound sembra più nitido e loro sembrano davvero più musicisti, il lavoro della chitarra soprattutto viene valorizzato meglio; basta ascoltare le versioni di “”I Don’t Know Why”, “Believer” e “Natural” e notare come il lavoro della chitarra è maggiormente in evidenza in sede live, mentre in studio appariva piuttosto soffocato; c’è pure spazio per qualche moderato virtuosismo, Daniel Platzman concede un breve assolo di batteria prima di “I Don’t Know Why” e Ben McKee esegue un breve assolo di basso in slap nel mezzo di “Start Over”; in sostanza chiunque abbia delle perplessità sulla band può ricredersi vedendoli dal vivo, è proprio qui che esprimono il meglio; forse è un discorso che si può estendere a qualsiasi gruppo commerciale ma nel caso loro - che già in studio mostrano delle potenzialità ma accompagnate da molte perplessità - il live toglie tutte quelle perplessità che essi possono suscitare.
Tutte considerazioni che probabilmente manco passano per la testa a migliaia di presenti, perlopiù fruitori di musica commerciale, molti dei quali giovanissimi (tanti i millennials presenti con anche famiglia dietro), musicalmente poco ferrati e poco attenti al lavoro dei musicisti (roba del tipo che se il bassista smettesse di suonare sarebbero pure capaci di non accorgersene), che vedono la musica solo come mero divertimento e chissene della qualità; se gli Imagine Dragons hanno grande successo onestamente non è per la bravura, cosa che non è capita dalla gente, ma proprio perché sono molto molto molto orecchiabili e divertenti; ma noi recensori che della musica siamo esteti queste considerazioni le facciamo eccome…
Ottima la scelta di inserire delle intro in numerosi brani, come se l’obiettivo fosse quello di caricare il pubblico per preparare a vivere meglio il brano. Discutibile invece la scelta di abbassare le tonalità della maggior parte dei brani, spesso addirittura di qualche tono; molti brani finiscono così per perdere quella carica che li caratterizza risultando così più pacati (la più penalizzata senz’altro “Walking the Wire”), tuttavia la resa sonora non viene alterata.
L’impatto visivo è ottimo, è quello dei grandi eventi, diverse immagini colorate accompagnano le esecuzioni rendendo il concerto spettacolare, senza di esse probabilmente non lo ricorderemmo come un grande concerto, o perlomeno così grande. Spiccano anche dei neon colorati ai lati del palco, non mancano poi coriandoli e fumi, e durante “On Top of the World” volano pure dei palloncini fra il pubblico. E quella tanto odiata pioggia in realtà si è rivelata anch’essa parte integrante dello spettacolo; visibile alla luce specialmente in alcune inquadrature proiettate sui monitor sembrava che cadesse a ritmo di musica e che contribuisse attivamente al caleidoscopio di luci e colori e a rendere i movimenti del gruppo e di tutti noi una danza della pioggia a tutti gli effetti. E poi c’era un elemento lontano ma che a pensarci era a tutti gli effetti parte dello spettacolo: si parla chiaramente dell’Albero della Vita, simbolo dell’Expo del 2015, meglio visibile a chi era posizionato sulla destra e da questi ben ripreso dai loro smartphone; se andiamo a vedere qualche contributo video su YouTube realizzato da questa frangia possiamo ammirare molto bene l’Albero illuminato che cambia colore risultando un valido accompagnamento alla musica.
La fine della pioggia segna la fine del concerto, come se il destino volesse proprio che fosse bagnato. Però alla fine ne è valsa la pena; ma nemmeno tanto pena dato che sono tornato a casa per niente raffreddato, per niente devastato, sarà che sono una roccia… L’insegnamento che traggo da questa esperienza è che non bisogna sottovalutare le cosiddette “band minori e più popolari” perché possono anch’esse offrire manifestazioni notevoli ed indimenticabili. Però con i prossimi eventi si tornerà a band più serie, cominciando dai Tears For Fears a febbraio e proseguendo con gli Haken a marzo.
Carico i commenti... con calma