Piuttosto che sbrodolare per l'ennesima volta sui Led Zeppelin, sui REM, sugli U2, sui Genesis, gli Iron Maiden o anche sui "miei" Queen, c'è un modo di gran lunga migliore per sfuttare le potenzialità di un sito come DeBaser: raccontare storie di cui in pochi si ricordano, parlare di artisti che magari hanno vissuto un breve successo commerciale ma, nonostante le loro doti, il loro talento e la loro personalità non sono mai riusciti ad emergere dall'anonimato; Imani Coppola, newyorkese di origini afro-italo-americane rientra in questa categoria di artisti a me particolarmente cari ed ha avuto il merito di introdurmi ad un universo musicale che prima d'ora non avevo mai esplorato, che avevo sempre visto come un qualcosa di distante dai miei orizzonti. Ebbene si, lo ammetto candidamente, almeno per ora sono un incompetente neofita per quanto riguarda l'hip-hop e derivati, ma cercherò comunque di fare del mio meglio per raccontare questo album e questa intrigante ed originale cantaurice.
Nata in una famiglia di musicisti ma senza possibilità economiche, l'affascinante Imani mostrò fin dalla tenera età grandi propensioni musicali e, per un colpo di fortuna, alcuni suoi demotape finirono in mano a Mike Mangini, batterista attualmente in forza ai Dream Theater, che le procurò un contratto discografico con la Columbia Records a soli diciannove anni, nel 1997. Imani Coppola si presenta così sul paloscenico discografico, lontana da qualsiasi clichè possa essere associato all'hip-hop: distesa, tranquilla, con quel sorrisetto furbo di chi la sa lunga, una pettinatura a dir poco creativa ed un titolo ironico e nonsense, "Chupacabra". Mangini, batterista abitualmente impegnato in ambiti rock e metal la accompagna in questa avventura, anche in veste di produttore, e la sua classe si rivela determinante per accompagnare l'estro compositivo di Imani. Il fatto che una teenager americana possa aver composto un album del genere, in anni in cui gran parte delle sue coetanee smaniava per entrare in girl-band e talent-shows sponsorizzati Disney è già qualcosa di impressionante: melodie fresche ed intriganti, cariche di vitalità ed ironia, interpretate da una voce spigliata ed accattivante. L'intelligenza e la personalità di questa ragazza si intuiscono fin dal suo primo singolo ed unico successo radiofonico, "Legend Of A Cowgirl", in cui campiona la base di "Sunshine Superman" di Donovan: si, proprio Donovan, un trait d'union tra due artisti con grandi affinità elettive: entrambi mai ingessati, eclettici leggeri e giocherelloni, due talenti straordinari che non si sono mai presi troppo sul serio e hanno fatto della nonchalance la propria marcia in più.
La batteria di Mike Mangini provvede a fornire quell'ossatura ritmica indispensabile per l'hip-hop, mentre sintetizzatori mai invadenti e chitarre acustiche disegnano textures melodiche accattivanti, più orientate al folk che ad un funk/R'n'B come sarebbe logico aspettarsi. In "I'm A Tree" Imani rivendica la sue identità, riconosce di essere un'anomalia, un albero nato in città, e questo le piace assai, il suo hip-hop è squisitamente femminile, colorato e civettuolo quanto basta, anche un po' hippie se vogliamo: già al primo ascolto ci si ritrova a muovere la testa sui ritmi leggeri di "Pigeon Penelope" e "Soon (I Like It)", gustandosi ritornelli orecchiabilissimi ed elegantemente poppish, tra cui quello di "Karma In The Blizzard" che sembra citare, secondo me tutt'altro che casualmente, "Spirit In The Sky" di Nina Hagen. I ritmi bossanova di "Naked City (Love To See U Shine)" e samba di "It's All About Me, Me And Me", mettono in mostra una sensualità fresca e spontanea, "Piece" rilegge l'alone psichedelico che avvolge tutto l'album in una chiave più ombreggiata e piacevolmente straniante, "Forget Myself" e soprattutto "One Of These Days" aggiungono un tocco di vellutata eleganza tra jazz e soul, che sublima nel languore flamenco della soave, intensa e passionale ballad conclusiva "La Da Da", una canzone che è un po' come il cioccolato fondente, un po' amara ma con un gusto ricco, intenso, pieno di sfumature. Per non farsi mancare niente, Imani inserisce anche una ghost track, "My Day", stralunato e teatrale pastiche psichedelico che dimostra ancora una volta un eclettismo ed una creatività veramente non comuni.
La citazione di "Legend Of A Cowgirl" appare tutt'altro che casuale, chiunque conosca ed apprezzi il Donovan di fine anni '60, quello di "Mellow Yellow", "The Hurdy Gurdy Man" e "Barabajagal" non portà che amare ed apprezzare Imani Coppola e "Chupacabra" in particolare, un disco dalle mille sfumature, pieno di infuenze e raffinatezze sonore al servizio di un pop alternativo, propositivo, innovativo ed intelligente: mente hip-hop, cuore hippie, anima black, eleganza folk e freschezza giovanile per un album adorabile, opera prima di un'artista che pagherà il suo non allineamento e la sua franchezza con una rapida cacciata dalla gabbia dorata della major, approdando negli anni successivi ad una dimensione underground più adatta per le sue esigenze artistiche e creative.
Carico i commenti... con calma