Dunque, questa non è una recensione qualunque, o meglio, non lo è per me: è la centesima griffata Danny The Kid. Uhm, devo inventarmi qualcosa di speciale, penso, qualcosa di spiazzante, ma a pensarci meglio anche no, ormai sono un recensore "di nicchia" e mi sento in vena di rimanere tale, quindi continuo sulla mia strada e continuo con Imani Coppola, una ragazza, un'artista che, come me, sembra aver preso alla lettera la massima di Oscar Wilde "bisognerebbe essere sempre un po' improbabili" facendone un'imperativo catagorico ed uno stile di vita e di musica: l'avevamo lasciata nel 1997, la ritroviamo nel 2012 con lo stesso spirito libero ed eclettico, mai impostato e libero da qualsiasi stereotipo. Ora Imani ha trentacinque anni, la ragazzina hippie-hop ironica ed ammiccante di "Chupacabra" ha lasciato il posto ad una donna energica, un po' mediamente isterica, che vuole far ballare con il suo stile, furba, smaliziata, intelligente e nel pieno della sua maturità artistica.
"The Glass Wall", il suo quarto album dopo il già elogiato "Chupacabra" (1997), "Afrodite" (2004) e "The Black And White Album" (2007) è un'esperienza pop da provare, ad alti livelli: un disco bello deciso, dai colori forti che rispecchia alla perfezione una personalità complessa e piena di sfaccettature. Arrangiamenti sontuosi e variegati, uso perfetto e calibrato di beats elettronici, prevalenza di sonorità dance e urban/R'n'B, con alcuni momenti riflessivi di grande fascino. Di tanto in tanto aleggia il fantasma di Gloria Gaynor: "Pain Killa" e "The Same Pain" sono fatte della stessa pasta dell'immortale "I Will Survive", canzoni fatte per far star bene l'ascoltatore, cariche di quel senso di rivincita, di voglia di vivere, una vis vitalis, un'empatia diretta ed immediata, ma Imani Coppola ha molte, molte altre frecce nel suo arco. Il trip danzereccio di questa fascinosa figlia di New York City comincia con la splendida autoironia di "State Of The Art", un sermone contro l'uso smodato della tecnologia nella vita ed anche nella musica, ma fortemente caratterizzato dall'uso massiccio del vocoder ed altri effetti elettronici all'avanguardia, un funk del terzo millennio, che esplode in un chorus potente ed efficace; questa è roba da Imani Coppola, che ora aggiunge alla ricetta un po' di chitarre in "Breakin' You In", poi fa il verso a P!nk con "Alive", anticipandone la svolta semi-elettronica dell'ultimo album "The Truth About Love" e nella conclusiva "The Future" ci ricorda da dov'era partita con un folk semiacustico ed elegante.
Con episodi come "Ave Maria", "Catch 22", "The Wait Of The World" e "Fear & Loathing" la nostra Imani propone un R'n'B dalle molteplici sfaccettature, diretto e sfacciato come è giusto che sia, ma depurato da ogni minima parvenza di troiaggine (scusate il fancesismo), per cui mi tocca riutilizzare la metafora del cioccolato fondente, un gusto intenso e ricco. Questo è il livello medio, gli estremi sono rispettivamente "The Kids Are Dangerous" e "Good For You", la prima emotiva, diretta, quasi un proclama più che una canzone, che implode su sè stessa in distorsioni elettroniche, la seconda è la sua "Feeling Good": un'idillio di morbida, languida, sognante sensualità, un amplesso tra elettronica e orchestrazioni .
Se il mondo girasse nel verso giusto Imani Coppola occuperebbe quel posto al sole che invece è stato assegnato a Lady Gaga. Lo so è un paragone tra le cioccolata e la merda del tutto inutile e fine a sè stesso, ma rende l'idea: Imani possiede molte delle supposte qualità che in molti vedono nella Germanotta; l'anticonformismo, ma Imani lo è per canzoni come "The Kids Are Dangerous", non per essersi vestita di bistecche, o l'essere un'autrice pop capace di creare melodie potenti ed immediate, ascoltatevi "Alejandro" e subito dopo "Pain Killa" e traete le vostre conclusioni. Ma questi sono i grandi bivi della vita, le scelte che dividono gli artisti dai fenomeni da baraccone: questi ultimi diventano idoli del popolino mediadipendente e della critica radical chic, feticci ad uso e consumo del mercato come una maglietta di Che Guevara o gli occhiali di Lapo Elkann, i primi forse si devono accontentare di essere tributati da Danny The Kid su DeBaser. C'est la vie...
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