I Newyorchesi Immolation sono un gruppo fondamentale per il Brutal Death in quanto hanno delineato un modo tutto loro di suonare (e comune a tutti i gruppi di quella città) basato su di un feeling profondamente oscuro, forse quello che ha negato alla band un più grande successo. Il complesso fece il suo ingresso nel panorama Death Metal (ma guardate un po’ che caso) nel 1991 con questo “Dawn Of Possession”, forse l’unico per il quale sono ricordati e che a onor del vero si dimostra un ottimo lavoro anche a distanza di così tanti anni.

La loro resta tuttora, anche con l’ultimo “Harnessing Ruin”, una proposta di nicchia ma capace di tenere il tempo: la longevità è una dote di ben pochi complessi nell’ ambito, ma gli Immolation sono uno di quelli e hanno avuto modo di dimostrarlo al di là di questo splendido esordio targato Roadrunner Records (prima che calasse le brache).
Forse questo lavoro è quello che più si avvicina al capolavoro “Effigy Of The Forgotten” dei concittadini Suffocation, per quanto la tecnica dei secondi sia un gradino sopra: qualcuno potrebbe pensare che mi sbilanci a fare un’ affermazione del genere, ma non è così, anzi, è possibile che lo collochi al di sotto dei sopraccitati solo in virtù del grande amore che provo nei loro confronti (per la serie “anche i metallari hanno un cuore” ).

Il quartetto sfoggia una tecnica mostruosa, vera rarità in una band esordiente: un guitar work ineccepibile, intricato, ricco di controtempi e di buoni assoli si interseca mirabilmente con una sezione ritmica chirurgica e parecchio innovativa (sebbene lontana dai colpi di genio dei sopraccitati Suffocation). Un vero vortice è quello sprigionato dai ritmi del drummer, dei quali ad ogni ascolto si può notare qualcosa di nuovo, un passaggio del quale non ci si era accorti o una rullata prima passata in sordina. Insomma un ottimo drumming, complicato, preciso e originale.
I chitarristi svolgono una prova altrettanto buona attestando definitivamente il bagaglio tecnico dell’album su livelli decisamente alti. Il cantante, anche bassista, dimostra di saper maneggiare meglio la voce, un growling devastante e non monotono che andrà incontro a buoni sviluppi anche nel resto della sua carriera: dicendo questo non voglio dire che sia un bassista incapace, semplicemente che il suo strumento non si senta quasi, ma questa non è una novità in un disco Death metal. Nonostante questa pecca la produzione risulta essere buona, in grado di donare all’Lp un’ aura molto tenebrosa e potente pur mettendo in risalto la perizia esecutiva dei nostri. Le canzoni hanno una struttura molto variegata e costruita con intelligenza: i cambi di tempo sono quasi continui e credo che all’ interno di una singola composizione se ne possano contare a bizzeffe. Questo contribuisce a rendere l’ intero lavoro intrigante e non noioso nonché a dare alle song delle fattezze determinate. Sebbene i rallentamenti siano una ristretta minoranza, i tempi non sono mai esagerati anche se mediamente alti.

Altro punto di forza dell’album è indubbiamente il mood; come già detto in apertura è molto oscuro e minaccioso, per quanto non giunga alle atmosfere plumbee create da altri gruppi posteriori o contemporanei (Accidental Suicide, Demigod, Suffocation, Skinless, Cryptopsy). Se dovessi fare un paragone con altri dischi, potrei citare qualcuno dei loro cd successivi o, il posteriore masterpiece dei Gorguts “The Erosion Of Sanity” , ancora più tecnico ma dal feeling e dalla struttura molto simile.
Inoltre, nonostante abbia ricevuto pochi plausi dalla critica e sia spesso dimenticato, può essere inserito nel novero di quei lavori che hanno portato alla nascita del Brutal, ovvero quelli che, prendendo gli stilemi del Death, li hanno distorti e modificati fino ad ottenere una musica più complicata, più estrema e infinitamente distante dal Thrash per violenza e per attitudine. Caratteristica delle grandi opere musicali è quella di spiazzare l’ ascoltatore anche dopo numerosi ascolti e di accendere le medesime emozioni anche a distanza di tempo: i dischi che riescono in uno dei due intenti sono ottimi dischi, quelli che riescono in tutti e due sono dei capolavori. “Dawn Of possession” non appartiene solamente alla seconda categoria, ma ha anche contribuito alla fondazione di un genere; ottimo è poco.

Carico i commenti...  con calma