Immortal, Darkthrone, Mayhem e Marduk sono delle vere e proprie istituzioni. Chiunque ormai nel cosiddetto circuito metal li ha almeno sentiti nominare e molti di noi hanno iniziato ad apprezzareil black metal proprio con loro (si faccia avanti qualcuno che ha iniziato con Abigor o Kvist). Grande riconoscenza e soprattutto grande attesa per ogni loro mossa, che puntualmente sarà al centro delle polemiche (i Mayhem con ogni uscita post-"De Mysteriis..." e anche i Marduk) o della sfacciata idolatria (gli ultimi Darkthrone punkettoni, paladini dell'attitudine e della coerenza, a detta di molti).
Nel mezzo, gli Immortal, coloro che non si prendono sul serio (la vita giù dal palco di Abbath non può che confermarlo) e per questo accusati di essere dei poser. Naturalmente, i loro eterni capolavori parlano da sè e zittiscono le malelingue. Il loro ritiro dalle scene dopo il maestoso colpo di coda "Sons Of The Northern Darkness" aveva conferito loro un'aura quasi mistica, leggendaria, non avendo sbagliato praticamente nulla, senza alcun condizionamento esterno se escludiamo la forzata defezione di Demonaz, scultore di frustate chitarristiche indelebili.
Anche il criticato "Blizzard Beasts", per quanto modesto e monco, riusciva a trasmettere qualcosa: il freddo, una sensazione di intensa soggezione verso le lande sterminatedi neve e ghiaccio che sono all base del loro affascinante immaginario. Se i precedenti album ci proiettavano at the heart of winter ed avevamo una perfect vision of the rising northland, l'album della reunion, "All Shall Fall", al confronto è la brezza del banco frigo che vi lambisce quando state prendendo i bastoncini di pesce surgelati al supermarket. A chi potrà mai piacere questo album? Ai ghiotti di bastonc... ehm ai fan degli Immortal? Non credo proprio, i paragoni con gli ingombranti lavori di metà carriera sono spontanei, soprattutto quando i momenti migliori della nuova uscita sono proprio i richiami al glorioso passato prossimo e ai fraseggi melodici di stampo heavy metal: se solo nella seconda metà dell'album i ritmi fossero più elevati, saremmo ai limiti dell'(auto)plagio. Diamo agli Immotal quello che spetta loro, riconosciamo che la voce di Abbath si conferma tra le più caratteristiche del genere, però sono i riff che mancano, soprattutto nella titletrack, sì e no tre riff da asilo del black metal in sei minuti. E Horg? Uno dei migliori batteristi storici del genere, un leviatano di malvagità finora, che si riduce a mero accompagnatore e fa cadere le braccia dallo sconforto in "The Rise Of Darkness".
Una qualche innovazione continua, in lento sviluppo dal buon "Damned In Black" del 2000, in senso thrashaiolo in "Hordes To War". Mai i nostri avevano pulito così tanto il suono delle chitarre e contemporaneamente reso così secchi gli accordi, corposi nelle ultime uscite, rasoiate agli esordi. Si tratta del pezzo migliore dell'album, in vista di un prossimo parto si potrebbe sperare che insistano in questa direzione, anche se gli Immortal che si mettono a fare i nipoti dei Sodom non so fino a che punto potrei supportarli (e sopportarli, perchè no?), nella scelta compro il disco alla band di provincia. Concludendo, poche idee che movimentino la musica, molta riproposizione sterile delle proprie trovate geniali di qualche tempo fa che si traduce in una routine che mai mi sarei sognato di associare agli Immortal.
Che Abbath si sia stancato di gestire a tempo pieno e con serietà la baracca e preferica dare il massimo nella sua cover band dei Motorhead?
Carico i commenti... con calma