Tra i pesi massimi del genere, i norvegesi Immortal hanno avuto il pregio non solo di aver contribuito a plasmare un genere, il black metal, ma anche di averlo saputo reinventare. Partiti nei primi anni Novanta, con LP come “Pure Holocaust” e “Battles In The North” riuscirono a crearsi una forta identità, grazie ad una proposta fatta di velocissimi riff di chitarra, batteria martellante e voce gutturale. Se forse la musica non si distaccava più di tanto da quella di altri gruppi della stessa scena, la peculiarità dei testi contribuì a renderli un caso più unico che raro nel genere. Mentre alcuni loro coetanei erano presi da incendi di chiese e qualche efferatezza di troppo, Abbath e soci non perdevano tempo con anticristi vari, grazie a testi di chiaro stampo fantasy, incentrati su un mondo di neve e ghiaccio, il Blashyrk, eterno teatro di infinite battaglie, espressione di come tanto i paesaggi nordici quanto Tolkien e “Conan il barbaro” avessero influito sulla fantasia del chitarrista Demonaz, da sempre autore delle liriche.

Nel 1997, quando la formazione sembrava essersi stabilizzata, con l'arrivo del batterista Horgh, proprio il chitarrista si vede costretto a dover (momentaneamente) appendere la sei corde al chiodo: anni di riff supersonici chiedono il conto e una brutta tendinite gli fa capire che è il caso di smettere. Si tratta però di fare di necessitù virtù ed ecco che nel 1999 arriva “At The Heart Of Winter”, album che spiazza e stupisce tutti. Il gruppo si ripropone come un duo, o quasi, con il cantante Abbath che, oltre al fidato basso, imbraccia anche la chitarra, Horgh dietro le pelli e Demonaz che, impossibilitato a suonare, rimane comunque autore dei testi. Concepito nei rinomati Abyss Studios, con Peter Tägtgren degli Hypocrisy in cabina di regia, l'album introduce diverse novità. Una produzione decisamente pulita e potente, infatti, valorizza al massimo una proposta musicale che sembra volere in parte prendere le distanze da quanto fatto a fino a quel momento. Non essendoci più la chitarra dell'amico Demonaz, Abbath si ritrova a scrivere tutta la musica praticamente da solo e qui sembrano riemergere influenze che raramente nei dischi precedenti facevano capolino. Se LP come il già citato “Battles In The North” erano un'estremizzazione del suono marcio e violento dei Venom, qui sembra che per un momento Cronos e soci siano stati accantonati per lasciare maggior spazio ad un suono debitore della Vergine di Ferro.

“Withstand The Fall Of Time”, posta in apertura, ben rappresenta questo nuovo corso. I ritmi sono incalzanti e Horgh è tellurico come sempre, ma siamo lontani da quei riff gelidi e ossessivi che avevano contraddistinto i norvegesi fino a quel momento. Stesso discorso vale per la successiva “Solarfall”, pezzo lungo e complesso, pieno di cambi di ritmo, con parti tiratissime, come ai vecchi tempi, che si alternano a momenti maggiormenti atmosferici. Svolta “commerciale” e “tradimento”? No, anzi, i pezzi assolutamente validi e il non voler per forza premere sull'acceleratore dimostra come il gruppo sappia muoversi su registri diversi e non abbia interesse a riproporre schemi che, giunti al quinto album, sarebbero ormai stati fin troppo prevedibili. “Tragedies Blows At Horizon” si muove sulla stessa lunghezza d'onda: sembra che gli Immortal abbiano voluto dare maggiore spazio del solito alla musica, con lunghe parti strumentali e scorrerie in lidi che potremmo tranquillamente definire thrash metal, senza per questo perdere un'oncia della propria integrità artistica. Se “Where Dark And Light Don't Differ” è impreziosito da un ottimo assolo di chitarra di Abbath di pura scuola NWOBHM e da riff tanto semplici quanto efficaci, il momento più alto del CD è comunque il brano che ne porta il nome. “At The Heart Of Winter” è introdotto dalle note di un sintetizzatore che solo qualche anno prima avrebbero fatto gridare all'eresia, ma che qui sono fondamentali per rendere in musica quelle lande ghiacciate figlie della penna di Demonaz. Inutile dire che il brano rappresenta alla perfezione la nuova direzione intrapresa da Abbath e soci, sicuramente più melodica e “accessibile” ma che non arretra di un passo quando si tratta di creare atmosfere drammatiche ed evocative. Il pezzo dura otto minuti ed è sostenuto da un riff classic metal? Ancora meglio, ennesima dimostrazione di come si possa rinnovare una formula vincente senza tradire le proprie origini. “Years Of Silent Sorrow” è un'altra maratona che supera abbondantemente i sette minuti e con il suo incedere maestoso chiude davvero in bellezza un ottimo disco.

A distanza di vent'anni “At The Heart Of Winter” rimane un album di assoluto valore, che non tradiva il passato e allo stesso tempo riusciva ad aprire il gruppo a nuove sonorità. Il genere è naturalmente di nicchia e molti potrebbero non apprezzarlo, ma si tratta indubbiamente di un lavoro dal grande fascino.

Immortal:

  • Abbath, voce, chitarra, basso, sintetizzatore
  • Horgh, batteria
  • Demonaz, testi

“At The Heart Of Winter”:

  1. Withstand The Fall Of Time
  2. Solarfall
  3. Tragedies Blows At Horizon
  4. Where Dark And Light Don't Differ
  5. At The Heart Of Winter
  6. Years Of Silent Sorrow
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