Una ferita profonda, martorizzante, arrecante dolori lancinanti, gelidi presentimenti di dannazione e solitudine.
Una "presenza", reminiscente deserti di ghiaccio spietato, antiche montagne corrose da raffiche taglienti, brulle foreste senza vita ed ancora anime perse nelle memorie di un passato indomabile, sconsolati viandanti dagli abiti sdruciti, dagli sguardi annegati nel vuoto della nostalgia.
Sinfonie di barbarico terrore, urla maledette, incomprensibili latrati di bestie scatenate, strida come sussurri di fantasmi uncinati da uno sconforto intollerabile, anime danzanti tra i fiocchi di nevicate interminabili, anime in attesa di rabbiose vendette. e tali sono, rappresentate da un unico, roboante suono gutturale, un rumore micidiale che sradica la spensieratezza, i sorrisi, che avvolge in un abbraccio di rabbia vichinga, falcidiante, inumano!
Il duo di Bergen compone l'opera definitiva del nero metallo, sguinzaglia un animale figlio del vento e della notte norvegese, pronto a sbranare i padiglioni dei malcapitati ascoltatori, trascinandoli in un viaggio tra le ombre, tra le statue della rovina, tra sentieri di lande abbandonate all'oscurita'totale. Non c'e'speranza, ci si sente soli, tramortiti da queste cavalcate furenti, incontenibilmente sgraziate, seminanti delirii e paure recondite. Il tutto è generato dalle chitarre assassine di Demonaz, dalla sezione ritmica accoppiata ad uno screaming schizoide di Abbath e da sporadiche keys che, in un paio di pezzi, alimentano l'anima apocalittica di questo tizzone infernale al nome di "Pure Holocaust".
Nessuna pausa, nessun rallentamento, la corsa è folle, drammatica e trasuda un'ira invereconda tale da rendere difficilissimo l'ascolto di questa mezz'ora di paganesimo urlante. "A sign for the Norse hordes to ride" comprime con riffs che rimandano ad orribili litanie, il cantante ruggisce solingo, impazzito mentre la sezione ritmica lascia attoniti per furia e ruvidezza. "The sun no longer rises" schaffeggia brutalmente per poi allungarsi in un mid-tempo venefico con un guitar sound marmoreo, granitico che si avvinghia alla vuotezza generata dai grunts infernali. La falsa lentezza di "Frozen by icewinds" allenta appena la morsa, genera artiche visioni di nera solitudine, si snoda in quattro minuti di vento mugghiante tra le roccie di montagne vecchie come il mondo.
L'apice giunge con le note ferali di "As the eternity opens", anthem scandito da tonanti rintocchi di batteria, tristi melodie filtrate da un riffing glaciale, pazzoide affresco di maledizione sonora. E non vi e´ tregua con un finale tremendo, lanciato alle folle velocita' della track di chiusura "Pure Holocaust" dove troneggiano armonie ripetitive innalzate verso il vuoto dalla bestia che vive nell'ugola indemoniata del cantante.
Sette stridenti inni al fuoco pagano che brucia nelle vene di questi signori del buio che domina le colline di Bergen durante l'interminabile plenilunio invernale. Questo è il black-metal.
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