Ginevra: città europea per eccellenza, svizzera nell'animo ed mittel-europea nel cuore, incastonata in uno stretto lembo di terra che la separa dalla Francia, con una qualità della vita tra le più alte al mondo. Peccato che per arrivarci da Torino in treno sia un incubo (occorre fare 4-5 cambi perché è praticamente impossibile andarci direttamente passando dalla Valle d'Aosta), ma prima o poi ci andrò per seguirmi qualche concerto come si deve, ma qui stiamo davvero divagando troppo...

La scena hardcore svizzera mi ha sempre sorpreso, nonché indotto a nutrire per lei una amore che a volte raggiunge vette viscerali. Se il mondo negli ultimi anni si è riempito di band cresciute come funghi, tutte che si tuffano a pesce nel grande calderone post-hardcore/sludge/post-metal/post-qualsiasicosasia, quel pezzetto di terra nel cuore dell'Europa, immerso in laghi splendenti e montagne verdi e imperscrutabili è sempre stato come una garanzia di qualità. Iniziai ad ascoltare le trame complesse dei Kehlvin, poi passai al nichilismo simil-Breach degli indimenticati Vancouver, mi beai nelle note degli Unhold e nel tornado sonoro dei Knut, ma se c'è una band che mi è sempre rimasta nel cuore, sono gli Impure WIlhelmina. Mi spiace, ma davvero, dopo aver ascoltato "Prayers And Arsons", l'ultimo loro album del 2008, NON POSSO NON RECENSIRLI! Non sto ascoltando altro da giorni...

Innanzitutto, cerchiamo di fare alcune premesse: io non so, e non posso dire se quest'album sia o no il "capolavoro" degli Impure Wilhelmina.
1) Non lo so perché questo straordinario dischetto se la gioca alla grande con le precedenti sfuriate del combo ginevrino, in particolare "L'Amour, La Mort, L'Enfance Perdu" (che prima o poi recensirò...) e "I Can't Believe I Was Born In July" (che, a mio modersto parere, vanta una delle più memorabili opener di un disco post-hardcore, ovvero "Ground").
2) Non posso dirlo perché il mio giudizio sarebbe troppo soggettivo, e se la musica contenuta in quest'album si intona alla grande con il mio animo metalloso, non è detto che sia così per tutti, magari qualcuno potrebbe giudicarli pedanti, complessi e indecisi su cosa suonare...

Fatte queste premesse, passo alla recensione vera e propria. Cosa ci trovo di così straordinario in questo disco? Anzi, diciamo meglio: cosa amo di così particolare in questa band? Difficile spiegarlo a parole... Forse il loro essere così sottilmente schizzati, la loro capacità di creare strutture complesse eppure dirette e immediate come molti loro colleghi non potranno mai fare, la loro bravura nel comporre canzoni memorabili, pe(n)santi e ragionate. Si, forse. Ma quello che probabilmente amo di più in questi ragazzi è la loro fottuta, stramaledettissima originalità. Sarò io che non avrò ascoltato abbastanza (e mi sembra strano visto che bazzico nella scena da parecchio), sarà che ho i paraocchi quando li ascolto, ma a me sembra davvero che il loro stile sia diverso da tutto quello che ho sentito finora in questo calderone del "post" HC metallico. Il loro modo di suonare e di comporre è unico e inconfondibile. Ed è anche abbastanza difficile riuscire a descriverlo.

Diciamo che quando è partita "Continental Breed" mi è salita una fitta al cuore, e dopo aver terminato di ascoltarla ero già a lì a premere il tasto per far ricominciare la canzone. Volevo ascoltarla meglio, memorizzarne ogni passaggio. E lì mi sono accorto che "Prayers And Arsons" è uno di quei rarissimi dischi che, nonostante riescano a colpire dritto a segno già al primo ascolto, allo stesso tempo vanno assimilati, ascoltati con attenzione, e poi riascoltati fino alla totale goduria uditiva. "Continental Breed", dicevamo. Si sono perse le tracce dei brani così lenti e opprimenti dei precedenti dischi (chi ha detto "January"?). La cupezza ha lasciato il posto ad un'ombra di solarità. Sono più solari, ma forse per quello più cattivi. Non mi immagino più strade innevate e ragazzi che suonano musica ossessiva in una sala prova fatiscente, mi immagino musicisti che vanno in skateboard in giornate soleggiate (più europee che californiane), e grandi concerti all'aperto dove la gente, poga, suda, VIVE, si incattivisce e al contempo si sente più buona perché più felice. Questo brano si nutre di un riffing diretto improntato sul saliscendi emotivo, sostenuto da una voce strascicata che tenta di essere melodica nella sua romantica disperazione. Vedo un tocco di ruffianeria punk molto più elegante del normale, pennate di chitarra che risalgono il manico e poi riscendono giù vorticosamente in un tornado, oh si, un vero tornado di note che vanno avanti senza guardarsi indietro e non riescono a bloccarsi, note come un treno che percorre una galleria e poi esce fuori inondato dal cielo, e poi queste note ritornano al riffing iniziale con una naturalezza disarmante, come se il brano fosse stato progettato nella classica forma-canzone, come se la sua complessità fosse solo un "errore di percorso". Sono io che sono retorico e scrivo stronzate, o è questa musica che mi induce a scrivere paroloni e metafore improbabili per riuscire a descriverla in qualche modo?

Gli Impure Wilhelmina suonano roba tosta e complicata con un'innocenza unica, come se invece di bearsi della loro inventiva urlando "guardate quanto siamo fighi e bravi!", siano lì a farsi trascinare dalla musica e quando hanno finito di suonare non si sono nemmeno accorti di quello che hanno combinato, come se fossero strafatti di marijuana e si fossero dimenticati tutto. E così il pezzo si chiude in giri di chitarre sostenuti, ora veloci ora lenti e sempre trascinati dalla voce tesa e vibrante di Michael Schindl. Si vede che i loro brani sono ragionati e strutturati con un certo studio, eppure li suonano quasi come se stessero improvvisando, e questa cosa a me piace troppo, eccome se mi piace!
E poi "Hide You Anger, Give Your Mouth" attacca senza preavviso, come se fosse uno stacco metal di Virgin Radio tra una notizia e l'altra, e si trascina in schitarrare tra la furia dei Converge, l'intellettualismo dei Mastodon e la psichedelia un po' sludge un po' post-rock di tante band che circondano le nostre orecchie e che credo sia inutile citare. Loro sono così, a volte dritti al punto, a volte si prendono una pausa meditativa, ma sempre, e dico sempre, riescono a stupire. Stupiscono con riff ispirati e pensati per entrare nell'animo, sorprendono con aperture melodiche sempre in bilico tra due estremi, sorprendono con pezzi stupendamente efficaci e mai banali. Non credo che valga nemmeno la pena citare tutti i brani perché questo disco è un'esperienza che va vissuta nel suo complesso.
"Poisons And Blades" inizia dolce e pacata, forse leggermente malinconica, ma poi si alza il vento della distorsione e la mente viene come ipnotizzata prima di esplodere. Furia hardcore ma tanta melodia, pezzi che ipnotizzano letteralmente ("The End Within", con la sua lentezza e la sua marcia sostenuta da una batteria martellante e da una chitarra eccentrica), pezzi che meditano, pezzi che calpestano, pezzi magari a volte un po' lamentosi (la strascicata conclusiva "Drift"), pezzi che entrano dentro e non escono più nei loro chiaroscuri che sono un vero susseguirsi di emozioni ("As We Kneel" e la metallusissima "Cover Me With Kindness"), ma tutti che (e lo ripeterò fino alla noia) sorprendono, facendo credere qualcosa e mostrandone un'altra (come quella melodia solenne e quasi "piratesca" di "The Rope", aggettivo che mi sembra tanto ridicolo quanto adatto a descrivere il brano).
Per questo non si capisce mai che diavolo suonino, perché passano con naturalezza e semplicità dal metal più dissonante alle meditazioni psichedeliche, dal dolce post-rock al melmoso sludge, dall'alternative rock più immediato alle sfuriate post-hardcore di un cuore metropolitano disperato e pulsante, senza dimenticare qualche bella spruzzata punk e doom. E tutto scorre senza intoppi, senza un calo di tensione che sia uno, senza mai contraddirsi o venir meno a quella che è la loro natura. E questo perché questi ragazzi la loro personalità se la costruiscono SUONANDO, senza nessuno schema precostituito. Loro semplicemente imbracciano gli strumenti, e quello che ne esce fuori li identifica come "Impure Wilhelmina". E questa è una piccola impresa che poche band sono in grado di fare oggigiorno. 

Ditemi quello che volete, e se non vi piacciono vi autorizzo anche a darmi dell'incompetente o dell'ignorante, chi se ne frega: ma per quello che riguarda la mia umilissima testolina, gli Impure Wilhelmina sono i nuovi sovrani dell'hardcore svizzero. Sinceri, passionali, originali e soprattutto intelligenti. Disco che è tra i più splendenti gioiellini del 2008.

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