Quando nel 1992 gli In The Woods... si stavano formando, il fenomeno del black metal stava già subendo quelle trasformazioni musicali che porteranno tale genere a diventare una forma di musica sempre più complessa ed articolata. A poco più di tre anni dalla formazione, ecco dunque che la band di Kristiansand pubblica il suo primo album, quel "Heart Of The Ages" che, assieme ad "Aspera Hiems Symfonia" dei conterranei Arcturus, darà il via ad un'ulteriore metamorfosi al metal estremo.
Pur partendo da una base black, i cinque norvegesi decisero di unire alla loro musica, elementi distanti dal metal: ecco che così nel sound degli In The Woods... cominciarono a confluire influenze proveniente da Pink Floyd in primis, specialmente per quanto concerne tastiere e atmosfere, e un po' tutto il progressive rock per quel che riguarda strutture dei brani, molto articolati e di lunga durata. I testi anche si allontano dai clichés tipici del genere, non essendo più incentrati sul criticismo nei confronti del cristianesimo, cominciando a trattare tematiche di stampo spirituali e concernenti la natura.
Diviso in sette episodi, cinque dei quali di durata ben superiore ai 5 minuti e con picchi di oltre 14 minuti, "Heart Of The Ages" è di quei pochi album in grado di bilanciare l'aspetto estremo della musica e quello più delicato. A sottolineare la vena più aggressiva ci pensano soprattutto dall'uso delle scream vocals ad opera di Jan Kenneth Transeth e da una sessione ritmica capace di donare la giusta dose di aggressività e lo spessore necessario alle composizioni. Per quanto riguarda quella più pacata, le vere regine si dimostrano tastiere e chitarre, sempre pronte a disegnare atmosfere a tratti oniriche ed eleganti, con le prime che richiamano i già citati Pink Floyd e le seconde sempre intente a costruire raffinati riffs velati di una sottile malinconia che accompagna l'ascoltatore per tutto il disco.
Delle sette canzoni quelle che maggiormente racchiudono al proprio interno tutta la filosofia della band di Kristiansand sono sicuramente le due suites, ossia "Yearning The Seeds Of A New Dimension" e la quinta "Wotan's Return". Il primo brano, idealmente diviso in due, presenta una lunga intro atmosferica che inevitabilmente riporta alla mente la celeberrima "Shine On You Crazy Diamond", per poi sfumare in una sorta di metal progressivo psichedelico nel quale Transeth da un'ottima prova di se nel cantato pulito. La seconda parte del brano si attesta invece su territori più tipicamente black: l'attacco arriva più o meno verso i 7 minuti, dopo un minuto abbondante in cui una voce recitata si appoggia su una cupa e minacciosa base di tastiere cupa. Anche in questo caso gli In The Woods... si dimostrano a proprio agio, con le chitarre che si fanno più taglienti, e con il buon Transeth che sfodera uno scream acido e disperato mentre sullo sfondo batteria e basso costruiscono ritmiche impetuose che travolgono l'ascoltatore. Il lavoro strabilia anche perchè forse per la prima volta un lavoro riesce a far confluire così felicemente la furia del black metal ad una ricerca in chiave tecnica e melodica, senza che nessuno dei due aspetti risulti mai preponderante.
L'altro brano a cui si faceva riferimento, ossia "Wotan's Return", è invece improntato su un sound più tipicamente black metal, presentando al suo interno riffs più scarni che si appoggiano ad una sessione ritmica sostenuta a velocità sempre molto elevate. In questo pezzo l'aspetto che colpisce di più sono le scream vocals, che infondono un senso di disperazione a tutta la composizione, grazie anche all'utilizzo dei filtri vocali, che rendono le linee quasi soffocate. Ottima la parte strumentale, che mette in risalto, qual'ora ve ne fosse ancora bisogno, le qualità tecniche della band, soprattutto per quel che riguarda chitarre e piano (l'assolo verso gli undici minuti raggiunge picchi emotivi veramente elevati).
All'interno del trovano il loro spazio anche due brevi brani strumentali, ossia "Mourning The Death Of Aase" nella quale fa la sua comparsa anche la giovane Syanne Larsen con i suoi vocalizzi sopranili, e "Pigeon", nella quale il piano viene lasciato unico protagonista. Le altre tre canzoni, vale a dire la title-track, "...In The Woods" e la conclusiva "The Divinity Of Wisdom", tornano a muoversi sui territori già calpestati da "Yearning..." e "Wotan's Return", raggiungendo anche in questi casi livelli qualitativi ben al di sopra della media, specialmente nell'ultima, nel quale si può assistere anche ad un emozionante duetto tra voce maschile e femminile, dopo il quale il solito Transeth sfodera un scream dilaniante.
Tirando le somme possiamo dunque tranquillamente definire "Heart Of The Ages" come un lavoro unico all'interno del panorama musicale, uno di quei pochi lavori in cui tutto è al posto giusto, dove nessuna nota è fuori posto, in una parola (spesso troppo abusata), un capolavoro. Unico difetto da notare è la qualità di registrazione troppo ovattata che tende ad affogare un pochino il suono delle chitarre e del basso, quest'ultimo che alle volte risulta appena udibile.
L'ascolto è consigliato a tutti coloro i quali cerchino un disco originale, ricco di qualità, in grado di emozionare dal primo all'ultimo minuto. Bellissimo.
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