Questa volta, a scrivere questa recensione, ho paura; ho già scritto altre rece, in alcune le parole uscivano da sole, in altre le idee erano ben salde nella mente ma era dannatamente più difficile tirarle fuori. Ora però mi trovo nella posizione peggiore, non sapere cosa dire. L'album che sto per recensire è talmente vario e articolato che non so proprio da dove partire, le idee e le visioni si affollano nella testa senza lasciare nulla di duraturo, un'effimera ed impalpabile sequenza di sensazioni ed immagini si materializzano nella mente per poi svanire al termine dell'ascolto lasciando un sentimento di inquieta beatitudine.

 A procurarmi tutto ciò sono gli In The Woods..., straordinaria quanto incompresa band norvegese nata nel 1992 e dedita ad un raffinato Avantgarde Metal. Peccato che il gruppo faticò ad imporsi sul mercato, prova del fatto è che, in undici anni d'attività, il combo norvegese partorì solo tre album: lo stupendo "Heart Of Ages", il capolavoro "Omnio" e questo album, datato 1999, "Strange In Stereo".

Nonostante ciò, i dischi del gruppo non sono certo l'uno la copia dell'altro, si sente la voglia della band di sperimentare e di provare nuove soluzioni, se ad esempio in Heart Of Ages vi era uno stupendo mix di doom, black e progressive, in Strange in Stereo il gruppo sembra volersi scrollare di dosso tutte le possibili etichette, andando anche oltre alla mera definizione di metal.

 Il disco si apre con "Closing", una canzone bellissima dove la voce sofferente e a tratti effettata del cantante, dipinge atmosfere sognanti ed ultraterrene, si vaga in uno spazio vuoto dove i pensieri si disfano, l'attività cerebrale si riduce al minimo. Si è trascinati in questa sorta di trance fino alla seconda traccia "Cell". Qui, entra in gioco il cantato femminile, si viene ricatapultati sulla Terra, in un'era arcaica, quando l'uomo era ancora in simbiosi con la natura. Sembra quasi di poter scorgere un fuoco e si capisce che ci si trova nel bel mezzo di un rituale, figure femminili danzano intorno al braciere mentre il resto del branco suona e canta in una lingua gutturale che l'uomo odierno conserva ancora nei meandri del proprio cervello animale. Il violoncello, che entra nella canzone successiva, ci fa distogliere l'attenzione da questa scena, il corpo sembra di nuovo perdere sostanza e, trasportati dal vento, ci si erge verso la luna bianca, la foresta sotto sembra fremere di vita propria. Da qui in poi sarà impossibile capire dove i norvegesi vogliono andare a parare, si viene trasportati dalle note in un mondo etereo, dove elementi musicali presi dalla psichedelia, dal doom e dal progressive si sposano, in un amalgama sovrannaturale e perfetta. Gli splendidi arpeggi di chitarra ed i perfetti giri di basso, imporranno alla batteria di scandire un tempo a tratti veloce e frenetico, e a tratti lento, cadenzato, e quasi angosciante.

I testi delle canzoni sono criptici e difficili da capire, essi vertono sulle esperienze personali degli artisti, dolore, gioia, delusioni e speranze, sono raccontate dal bravissimo Jan Kenneth Transeth, il quale riesce sempre a far trasparire le emozioni contenute nelle tracce.

Si arriva stremati all'ultima canzone "By The Banks of Pandemonium", la traccia procede lenta fino alla parte finale, dove i toni si alzano e il cantante urla, quasi come a voler risvegliare l'ascoltatore, le parole "This fable is a damned one - you will damn it, believe...". Poi tutto si placa, un arpeggio di chitarra in loop accompagnato dal basso, prende per mano chi sta ascoltando il disco e lo porta alla fine di questo splendido viaggio.

 Un senso di desolazione e tristezza pervade così l'anima, si è consapevoli, infatti, che le sensazioni provate sono soltanto degli artifici, esse non potranno essere rivissute se non attraverso l'ascolto di Strange In Stereo, ascolto però che al contempo provoca un profondo sentimento di angoscia e malinconia; insomma si è consapevoli che per riapprodare a quei lidi, una parte della nostra anima dovrà soffrire. Ma la tentazione sarà troppo forte, un giorno o l'altro rimetterete nel lettore questo disco e schiaccerete nuovamente il tasto play. E il viaggio avrà di nuovo inizio...

 In conclusione l'album è stupendo, forse un po' troppo lungo (sessantatre minuti), e non posso che consigliare l'ascolto a tutti gli amanti della buona musica (retorico, vero?), e a chi vuole espandere i suoi orizzonti musicali.

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