Alla scoperta del Death Metal dimenticato, capitolo quattordici. Ogni tanto mi chiedo perchè non recensisco "Master Of Puppets" o "Nevermind" o "Chaos AD" o uno di questi dischi ai quali la storia ha pagato il giusto (a volte anche "l'eccessivo") tributo: invece, ogni benedetta (anzi, maledetta che è più Brutal) volta, mi ritrovo tra le mani dischi polverosi, raccattati dagli scaffali di qualche metallaro fanatico di inizio anni novanta e morto suicida o di cirrosi epatica nel 1996, per protestare contro il declino del Death metal. L'immagine, per quanto forse troppo fantasiosa, risulta efficace nell'esprimere il concetto; i miei occhi sono colmi di lacrime mentre scrivo queste "sudate carte" perché mi rendo conto di essere l'unico depositario della memoria storica del Death metal. E chi infatti ricorda il seminale esordio degli Incantation? Nessuno, gli Homines (non più) Sapientes Brutallarenses preferiscono comprare a scatola chiusa "Kill" dei Cannibal Corpse (e, in fondo, come dargli torto, basta avere il disco prima e sai già come sarà quello dopo) piuttosto che risalire alle origini e capire chi sono e da dove vengono; ma questa è l'evoluzione, dimenticare i Mores Maiorum Brutallarorum in favore dei cd più reperibili e "fashion"... "Ahi servo Brutal...nave sanza nocchiero in gran tempesta"...
Scherzi a parte, è veramente triste che lavori del calibro di questo "Onward To Golgotha" siano completamente dimenticati dai posteri e, ciò che è più grave, che sia perfino dimenticata la grossa influenza che hanno esercitato sulle band a venire; perchè uno sproposito (e ripeto, "uno sproposito") di gruppi della scena Death metal si rifà a questo grande lavoro e, anche se meno, ai capitoli successivi degli americani Incantation, natii della Pensylvania. Non a caso, il loro nome figura, nella lista dei ringraziamenti, nei booklet dei cd di complessi provenienti da ogni parte del mondo (dai canadesi Cryptopsy ai giapponesi Defiled).
Il disco, uscito a cavallo tra il 1991 e il 1992, rappresenta un'eccezione nel panorama Death del tempo; mentre i Death aprivano la strada alla sperimentazione, i Carcass e i Napalm Death abbandonavano il Grind, mentre Cannibal Corpse e Suffocation gettavano le basi del cosiddetto Brutal Death e mentre un'enorme fetta di band suonava puro e fottutissimo Death metal, gli Incantation, dal niente, creavano il Death Doom. Cosa analoga avevano fatto due anni prima i connazionali Accidental Suicide e, più o meno in contemporanea, gli Autopsy (altri connazionali, molto più Death che Doom) e gli inglesi Benediction. Tuttavia gli Incantation, a differenza degli altri elencati, propongono un Death Doom completamente scevro di elementi Thrash e, sotto certi aspetti, più vicino a quello che sarebbe diventato il Brutal Death. A molti di voi questo sembrerà una presa in giro, visto che il Brutal è uno dei sottogeneri del Metal più veloci e il Doom sicuramente il più lento; ma le cose stanno così, tutte le loro canzoni sono altalenanti tra tempi velocissimi e altri inverosimilmente dilatati e lenti. Non vi confondiate però, qui non si tratta di alternare semplicemente tempi più o meno rapidi, qui si tratta di costruire canzoni in funzione del rallentamento; in altre parole, la velocità serve ad esaltare la lentezza, l'accelerazione serve a tenervi sulle spine e a farvi bramare letteralmente l'arrivo di quelle infinite battute in quattro quarti.
Perché le accelerazioni non sono bellissime, anzi, sono assolutamente innaturali e non fanno altro che aumentare il senso di oppressione. Difficile, in un contesto come questo, stabilire il tasso tecnico della band: dalle parti veloci si dovrebbe dedurre che i nostri hanno una preparazione buona, preparazione che però, in quelle più Doomish, rimane ben celata dietro ad un muro di potenza e nient'altro. Ogni volta che il batterista "preme sull'acceleratore", si rimane stupiti, quasi seccati dal blast beat, da quella chitarra che esegue scale di gran carriera mentre fino a poco prima e fino anche a poco dopo ha suonato e suonerà accordi pachidermici. Song come "Blasphemous Cremation", "Golgotha" o "Christening The Afterbirth" (tutte di carattere anticristiano quando non addirittura sataniche) rappresentano al meglio cosa sono gli Incantation: una marcia verso le fiamme dell'Inferno. L'aria che si respira è decisamente stantia, maleodorante, nera; il mood è parte integrante di ogni canzone. Insomma, se siete di buon umore sconsiglierei di far cadere la vostra scelta su un disco come questo (a meno che non odiate essere di buon umore, come il sottoscritto); non c'è spazio per il divertimento in "Onward To Golgotha", c'è solo spazio per un odio così intenso da tagliare col coltello. Ruolo importante in questo senso lo gioca il vocalist, dotato di un growling profondissimo e molto cupo (a me ricorda quello dei Nile), e il bassista, subentrato ad un certo Will Rahmer (poi membro dei Mortician) e capace di una prestazione non comune in questo genere: nonostante la produzione sia molto sporca, il nostro vuole farsi sentire a tutti i costi e col suo strumento contribuisce a ricreare quelle atmosfere catacombali che caratterizzano gli Incantation. Di certo non mancano difetti a questa band, ormai radicata da anni sullo stesso sound (non hanno cambiato una virgola durante tutta la loro carriera) e talvolta noiosa anche all'interno di questo singolo album; il rischio di strutturare le canzoni tutte allo stesso modo è quello di farle assomigliare troppo e di uccidere l'attenzione dell'ascoltatore. Per ovvie ragioni, alcune canzoni risultano superflue e prolisse ed il voto non può che risentirne. Tuttavia la portata storica di "Onward To Golgotha" è innegabilmente molto grande: il modo di suonare di tante delle nuove leve, repetita iuvant, è ispirato a quanto fatto da questo complesso (ed in particolare da questo disco di esordio). Cd assolutamente obbligatorio per chi ascolta Death metal, non solo per la sua importanza, ma anche per la sua qualità decisamente buona.
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