Alla lunga una macchina finisce per rompersi, non importa quanto tu l'abbia pagata o quanto tu abbia creduto in lei. E' questo il sentimento che provo per gli Incubus. A dir la verità non è proprio da poco che lo provo, saran 10 anni, tra alti e bassi, tra speranze di ripresa, o di evoluzione viscerale, e cadute di stile pazzesche. Li ho scoperti mediante un dischetto aggiuntivo allegato a "Life Is Peachy" dei Korn, dove stava una versione dal vivo al fulmicotone di "Hilikus" e mi si sono drizzate le orecchie, e mi sono fiondato al (fu) negozio di dischi della mia città per acquistare i gioiellini "Fungus Amongus" e di "S.C.I.E.N.C.E.", roba da sbrodolamento di mutande. Ok, mi rendevo conto della sfacciatezza con la quale Brandon Boyd scimmiottava sua magnificenza sir Mike Patton dei tempi d'oro del signor Bungle, senza ovviamente raggiungere nemmanco la metà della sua espressività marziana, ma quel che sentivo, allora infognato con questo genere di crossover, era pura gioia e potenza. Mi arrischiai dunque all'acquisto di "Make Yourself" e anche lì grida di gioia, c'era la maturità e dei pezzi da andarci fuori. Poi "Morning View". E da lì torniamo all'inizio della recensione, la macchina è rotta, non ha proprio smesso di camminare ma lo fa con tanta lentezza che sembra non ci si muova mai, e tolto qualche singolo veramente bello (tanto terribilmente ripetitivo e fine a sè stesso) non c'è stato più verso. E così arriviamo a questo nuovo lavoro. "If Not Now, When?", me lo chiedo anche io ma la risposta che do è "NEVER".

L'apertura di disco è affidata alla title track, una commistione di pop di bruttezza a livelli notevoli con una melodia di voce seriamente stucchevole, nessun picco della bellezza dei bei tempi, vocalizzi intortafregne e noiosi inserti di archi, e la stessa cosa accade fino al terzo pezzo ("Friends And Lovers"), tanto che sembra facciano parte della stessa suite di bruttura terribile, e pure i suoni...mi stupisce che il guru del suono Brendan O'Brien abbia prodotto simili suoni di batteria, ma è così. Sembra che ci si muova un po' di più con "Isadore" dalla melodia speranzosa, gli intrecci di chitarre acustiche ed elettriche cari ad Einziger sin da "Drive", più dinamica, e la melodia migliora, i cori sono ben studiati, ma è l'orlo sul baratro, altri tre pezzi terribili, inclusa la "suite" di 7 e fischia minuti "In The Company Of Wolves" dove i nostri provano a risondare i terreni lisergici causati dai funghi degli esordi risultando stucchevoli, suonacci persi nello spazio di uno sbadiglio, e non è con un filtro sulla voce che arriveremo ai lidi della Volta di Marte. A niente vale spingere un po' di più sull'accelleratore dello scimmiottamento Pattoniano con "Switchblade", che dal vivo tenterà di far muovere la gente. E al solito, un singolo salva la faccenda, si fa per dire, ed è "Adolescent", unico vero punto fulgido del lotto, in un terreno di viscerale noia allo zenit.

Comprendo che a 35 anni suonati non si possa essere irruenti come 15 anni prima, ma ciò non toglie che forse forse quel che manca è proprio la capacità di rinnovarsi, a questo punto, meglio smettere

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