Amico ignaro prima che inizi il concerto: "E questi che fanno?"

Iltrattore non ignaro: "Questi fanno MALE

Ed è vero. "FINE" ne è fulgido esempio. Fulgido come solo il dolore può essere.

Da "Intimacy" la tavolozza dei colori si è riempita di sangue che si è mischiato alle tempere, che ha creato qualcosa di nuovo, una boccata d'aria che fatichi a capire se è estremamente pulita o indelebilmente ferale. Una sola cosa è certa: è varia ed in evoluzione.

I passaggi al limite del silenzio, il noise oscillante e "umido", la tensione che crea squilibrio, la voce che sussurra sottopelle, sintetizzando i momenti, dieci minuti di "Grey", che non cresce ma si apre come un fiore meccanico.  E poi i tribalismi "gigeriani" di "Varnish", che invece cresce ancora e ancora per esplodere nelle storture nervose della micidiale agonia post di "All Colours", dinamiche che spiazzano, chitarre muscoli nervi e terzo occhio. "Black Glue" sboccia da una intro "illusoria", in silenzio quasi, melodia che sa di ruggine, ed esplode in stomp e bordate elettriche. E la forza di tirare fuori il dolore dalle mura di Sarajevo città, bucate dalle pallottole e grondanti sangue ancora, dopo anni, farlo di nuovo, prendendo a "prestito" il diamante scuro di "Cupe Vampe" dei signori C.S.I., interpretando la rabbia e impregnandola di fango, abbellendola se possibile. Per lasciarvi in un finale mogwaiano, per farvi capire che c'è molto altro qui...molto.

Ed è proprio vero che la fine fa male, l'avevo ben detto al mio amico.

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