A saucerful of thrash - Episodio V: "Ma come porti i capelli bella biondaaaa... Tu li porti alla bella marinaaaraaa..."

...prendiamo la scena tresc medal canadese anni '80, per esempio.

Troppo facile ripetere quanto sia bello e quanto sia bravo Jeff Waters con il suo grosso chtarrone.
Troppo facile provare a darsi un tono, fare i radical chic del saldatore a filo e riempirsi la bocca di "Ahhh... i Voivod... che gruppo! che gusto musicale! che intraprendenza!".

Perchè se si vogliono accarezzare le muffe più setose, coccolare i cagnotti più grassuttelli, pascersi delle puzze ataviche che da tempo aspettano solo di essere annusate, occorre dimenticarsi dei grandi nomi, scoperchiare il vaso di Pandora (che è molto meglio del panettone...), e infilare mani e faccia nel sottobosco di una scena certamente secondaria se paragonata ai grandi bacini europeo e statunitense.

E sarà proprio lì, dove la mutanda si cambia solo al momento di voltare la pagina del calendario, tra le carcasse di gruppi evaporati in una nuvola rossa come le meteore nel giro di pochi mesi, che troverete gli Infernal Majesty.
E, se esiste un Dio, una giustizia universale, un equilibrio cosmico, troverete anche il loro parrucchiere.

Si formano a Toronto, agli inizi del 1986, imponendosi fin da subito tra i quartetti più cotonati e/o peggio pettinati che la storia del medal ricordi.
Dopo pochi mesi, registrano una demo di 4 tracce con cui ottengono un contratto discografico e una fornitura di lacca per capelli dalla celeberrima etichetta Roadrunner. Pubblicano il qui recensito esordio l'anno successivo, e le foto delle loro chiome iniziano a fare il giro del globo. Le fanzine specializzate dedicano sempre più spazio alla loro musica, il batterista pubblica la propria autobiografia: "Doppio pedale e doppie punte - Come ho domato il primo. Come ho sconfitto le seconde".
Ma il successo è effimero, un po' come le cure per la calvizie che si possono trovare al supermercato o nelle farmacie, e già l'anno successivo i nostri si sciolgono come un ghiacciolo all'anice: quello - tanto per capirci - che all'oratorio feriale nessuno voleva e finiva per terra, mezzo smozzicato, dimenticato nella polvere.

"None Shall Defy" giunge nei negozi di dischi e nei coiffeur per signora nel settembre del 1987, accompagnato da una delle copertine più ridicole che la storia del medal ricordi.
Non è un caposaldo del tresc medal. Non è un disco imprescindibile per conoscere il genere. Potete anche non averlo in picture disc rosso rubino e nessuno potrà accusarvi di non essere abbastanza thrasher.
Semplicemente è uno dei dischi più oscuri e incazzati che si potevano trovare in quegli anni nei cestoni dell'Autogrill dalle parti di Toronto.

Parte dagli Slayer, e, forse, tenuto conto del periodo storico in cui vede la luce, non potrebbe essere altrimenti, ma si concede anche il lusso di passare a trovare gente del calibro di Possessed e Dark Angel
Della migliore tresc medal band di sempre (che sono gli Slayer, se non lo si fosse capito) recuperano più o meno tutto: le cavalcate in crescendo e le atmosfere sulfuree à là "Hell Awaits", il riffing nevrotico e i tritoni di "Reign in Blood",  le melodie sfregiate e le "Grattusge de uma nota so" di "Show No Mercy".
Della band con il miglior batterista medal di sempre (che sono i Dark Angel, se non lo si fosse capito) tentano di imitare la maggiore varietà compositiva, il gusto per il refrain anthemico.
Della band che, si dice, ha contribuito per prima alla nascita del death medal (che sono i Possessed, se non lo si fosse capito), recuperano il sommo grezzume e lo scartavetramento vocale di Jeff Becerra.

E, bisogna ammetterlo, il trucco tutto sommato gli riesce.

Forti anche del growl acerbo (ma comunque ad uno stato piuttosto avanzato di decomposizione) del cantante-bassista Chris Bailey, sfornano un vero e proprio manabile dello Slayer sound, in versione più ignorante, rozza, primitiva (bastino, per tutte, l'opener "Overlord" e la mitologica title track), punteggiato da episodi in cui la band cerca disperatamente (inutilmente?) di allontanarsi per quanto  possibile dal sentiero tracciato da Kerry - Mago Pancione - King e soci della birra. Sentasi, ad esempio, il riuscitissimo mid-down tempo "Night Of The Living", omaggio all'opera del maestro del putrefatto George Romero, o, ancora, la successiva "S.O.S.", in cui si fanno notare quelle stesse accelerazioni che, solo qualche anno più tardi, faranno la fortuna dell'esordio dei Morbid Angel.

Il risultato è un disco malvagio, oscuro, teso,  in cui le concessioni alla melodia si contano sui riccioli di un calvo, e che negli anni successivi verrà indicato come fonte di grande ispirazione per diverse band della scena estrema (tra cui i nostrani Necrodeath).
Un disco che, tuttavia, non può certamente ambire al titolo di capolavoro.
Colpa di un tasso tecnico non certo eccelso, di una fondamentale penuria di soluzioni che possano definirsi davvero originali, di una produzione che non può certo godere dell'imposizione delle mani di "un" Rick Rubin qualsiasi. E, soprattutto, di certe acconciature oscene dei membri della band.

Sollazzo per ogni thrashofilo convinto, completista, nostalgico.
Incubo di ogni medallino acqua e sapone, di ogni chierichetto, di ogni parrucchiere alla moda.

Dedicata a Fabius, che ne ha avute abbastanza.

 

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