L'inizio di una storia può essere avvolto in un'aura quasi fiabesca . Mi viene da pensare così se devo ricordare come e quando si accese in me la curiosità, prima, e l'interesse per il cinema poi. Ricordo bene quando la Tv pubblica trasmetteva in bianco e nero e i canali erano giusto due. In particolare, al lunedì sera, subito dopo il Carosello era buona abitudine mandare in onda film inseriti in rassegne dedicate a registi di grande richiamo e livello. Per quanto fossi molto giovane e non potessi restare sveglio dopo Carosello, ricordo però che vennero programmati in specifiche rassegne film di autori come Bergman e Fellini. Nella mia mente così giovane e suggestionabile ciò bastò a farmi incuriosire e pensare che l'arte cinematografica avesse in sé qualcosa di magico.
Nel corso del tempo successivo questa primigenia impressione trovò innumerevoli conferme e non solo per quanto ebbi modo di vedere a firma dei due registi prima citati. Mantenni comunque , nei riguardi di Bergman, un certo occhio di riguardo perché è sempre stato un autore di grande rispetto, non foss'altro per quell'impostazione filosofica severa di radice luterano protestante che lo portava ad affrontare i grandi temi della vita. Basterebbe ricordare certe opere imprescindibili come "Il settimo sigillo" incentrato sull'eterno duello fra Vita e Morte oppure "Il posto delle fragole " attento alle malinconie dell'esistenza di chi è ormai anziano. Insomma, sempre film cosiddetti impegnativi che si vedevano e rivedevano in sale d'essai, a cui spesso e volentieri seguivano dibattiti tosti (comprensibile poi che a un certo punto sia saltato su qualcuno come Nanni Moretti ad auspicare di evitarli..) .
Eppure, nel caso di questo film che segnalo qui di seguito (da me scoperto qualche anno dopo i "mattoni" bergmaniani) ed intitolato "A proposito di tutte queste... signore" le impressioni riportate furono decisamente spiazzanti. Come, mi chiesi dopo la prima visione, un regista così serioso come lo svedese si concedeva un simile divertissement, quasi una commedia brillante a ritmi di black bottom (l'ambientazione e' in una villa principesca fra attori ed attrici abbigliati secondo la moda degli anni Venti del secolo scorso) ? Eppure la grandezza di un regista sta proprio nel mostrare un certo stile eclettico che riesca a passare dai toni drammatici a quelli lievi senza scadere nel banale e scipito.
In breve la trama vede un certo Cornelius, critico musicale con velleità compositive recarsi nella splendida magione di Felix violoncellista di fama mondiale, allo scopo di completarne la biografia e riuscire a consegnarli una sua composizione. Ma l'impresa si rivela molto più complicata di quanto preventivato dal momento che Felix (mai direttamente inquadrato in tutto il film) vive attorniato da un autentico harem di donne (moglie e varie amanti) in perenne competizione fra di loro per godersi il genio musicale. Non sarà facile per Cornelius attuare il proprio piano (farsi alleate tutte quelle donne comporta pure un certo dispendio di arti seduttive ed erotiche..). Ma quando l'obiettivo parrà quasi a portata di mano di Cornelius, il grande violoncellista sarà colto da improvviso malore. Grande cordoglio fra i presenti, esequie funebri compassate come da prassi ma, considerato che "Il re è morto, viva il re!", anche il vuoto lasciato da un grande artista dovrà essere colmato e un giovane violoncellista entrerà in scena per la gioia delle varie vedove. Il che tornerà utile allo stesso critico Cornelius, d'ora in poi dedito a glorificare un nuovo astro nascente dell'universo musicale.
In un film dal ritmo scoppiettante, a tratti con toni da pochade e slapstick comedy, Bergman inscena una garbata satira dell'ambiente artistico (e non mancano riferimenti autobiografici, visto che lo svedese viveva riverito come genio del cinema) . L'artista baciato da successo e denaro vive in un Eden , attorniato da belle donne, in una corte dei miracoli alle cui porte bussano questuanti di ogni tipo, sempre più fastidiosi . Intrattenere buone pubbliche relazioni e' molto impegnativo e mettetevi voi nei panni di chi, tanto famoso, deve fronteggiare orde di critici e giornalisti che ti vengono a sfrucugliare sulle tue scelte esistenziali o artistiche. Quello che ha passato Bergman è esattamente quanto successo, solo per fare qualche esempio, a Pablo Picasso a cui si chiedeva il senso recondito di qualche suo dipinto. Oppure quanto chiesto ai Beatles sul significato dei testi di alcuni brani.
Fortuna vuole che il regista svedese, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa, con lieve ironia (e mano ferma nel dirigere un gruppo di attrici molto brave come Bibi Andersson, Harriet Andersson, Eva Dahlbeck) descrive quella che è proprio una prigione dorata per qualsiasi noto artista. E si conferma, in quello che per alcuni parrebbe un film minore nella sua cinematografia, un Mozart della macchina da presa. Anni fa è passato a miglior vita (come purtroppo capitò al nostro Fellini) , ma ci ha lasciato una vasta messe di titoli per una grande lezione di cinema ai posteri.
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