Gavin Rossdale è solo un nome o anche una garanzia? È un nome che ti fa spendere o solo una combinazione di lettere che in sequenza producono un certo suono?
Per ora non so rispondere. Anche se, pensando a "Golden State" quando Rossdale era ancora frontman dei Bush, mi viene da puntare sulla garanzia. "Golden State", per la cronaca, è un album che ascolto almeno due volte al mese. Prendetelo così, come un fermento lattico.
Poi iniziano i parallelismi. G&G. Gavin e Gwen (Stefani). Il primo incendia il cespuglio dove anche a me era sempre piaciuto imboscarmi; alla seconda vengono i primi dubbi – gli stessi di Christina Aguilera? – e molla i No Doubt per entrare nel paese delle meraviglie dei solisti. Ma le parallele non si incontrano mai? Siamo sicuri? Forse al cinema.

Gli è che Gwen si becca una parte in "The Aviator", mentre quel demonio di Gavin fa il mezzosangue in "Costantine", indossando gessati riesumati dal set de "Il Padrino parte II".
Quest’aria Hollywoodiana non è esattamente un areosol per Gavin che chiama alla sua corte Chris Traynor, chitarra degli Helmet, Cache Tolman, basso dei Rival Schools e Charlie Walker, alla batteria (quello del whisky si chiama Johnny).
Il ritornello non vuole uscire dal perimetro sonoro già tracciato dai Bush, tuttavia se la base è uguale, l’altezza no. E il prodotto cambia. A parte "Bullet-Proof Skin", "When Animals Attack", "Boom Box" e "Ambulances", la variante sonico-melodica del grunge di Rossdale rimane in letargo. Per non parlare della copertina che sembra una locandina della Shell.

Carico i commenti...  con calma