Eccolo qua. Finalmente. Il cosiddetto "difficile terzo album". Promossi. I dubbi c'erano: tutti i migliori gruppi post new wave hanno già fallito la seconda prova, figurarsi la terza. Il passaggio ad una major. Quella voglia di hit espressa/repressa nel precedente "Antics". L'uso di un produttore à la page come Rich Costey (un paio di Muse, brutti, e l'ultimo Franz Ferdinand, brutto, tra l'altro).

Invece gira, eccome.

La prima sorpresa arriva dalla scaletta: i tre brani di apertura sono tutti mid-tempo. Solo con "The Heinrich Maneuver", scelto peraltro anche quale singolo, i bpm cominciano a salire. E questo è già un punto a favore: ci si poteva aspettare un tentativo di captatio benevolentiae, invece gli Interpol vanno per la loro strada.

Credo che la pausa di quasi tre anni dal precedente lavoro in studio abbia fatto bene. La maturità raggiunta dal quartetto di Nyc risulta innanzitutto dalla circostanza che ormai gli Interpol assomigliano a loro stessi più che a qualcos'altro (Joy Division, The Smiths, Television, a seconda dei detrattori). No, hanno i loro marchi di fabbrica: gli arpeggi di chitarra all'inizio dei brani che danno l'impronta ai medesimi; la voce di Paul Banks lasciata da sola, ogni tanto, con pochissimo supporto strumentale; il reiterare, più del dovuto, lo stesso accordo, senza per questo annoiare; le code delle canzoni che infondono nuovo respiro, lasciando presagire vie d'uscita che rimangono immancabilmente deluse (la trasposizione del concetto pittorico del "non finito").

A ciò si aggiunga, in questo capitolo, un uso delle tastiere che arricchisce il suono e gli concede complessità. Delle chitarre più sporche rispetto a quelle di "Antics" (troppo pulite, per i miei gusti). Nuove direzioni (vedasi gli arrangiamenti, potenzialmente orchestrali, dei finali di "Wrecking Ball" e "Lighthouse"). Mi piace poi la circolarità dell'opera, un inizio, come detto, lento, poi gli Interpol sono più veloci e cattivi, di nuovo la quiete alla fine del disco.

Canzone preferita: "Rest My Chemistry", con chitarre superlative, ennesima consacrazione dell'inutilità dell'assolo nell'ambito della musica rock, e sezione ritmica trattenuta, eppure efficace. Uniche perplessità sulla copertina, che mi pare invero orrenda rispetto allo stile, molto minimale e concettuale, della band.

Sicuramente uno dei dischi che stuferanno di più i vicini casa del sottoscritto nella prossima estate, così come i vicini degli altri cultori degli Interpol.

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