Svincolati dal pregiudizio per cui la musica andina è solo ed esclusivamente noiosa e dall’intellettualismo politicizzato di quelli che “viva il Che” si può finalmente ascoltare questo disco degli Inti Illimani: un ottimo disco.

Ma, ovviamente, decontestualizzare in modo brutale è sempre un rischio e si finisce col non cogliere lo spirito di un’opera o coglierne solo il carattere di facciata.

Gli Inti Illimani sono un gruppo che, certamente più di altri, non può essere commentato solo per la sua musica (per quanto buona), prescindendo cioè da quella che è la storia recente del popolo che rappresentano e dalla loro posizione di fronte a certi avvenimenti storici. In soldoni: il 1973 è l’anno del colpo di stato in Cile. L’anno in cui il comandante dell’esercito, Pinochet, aiutato dai servizi segreti americani, instaura il suo regime autoritario sopprimendo i vari focolai di rivolta che ne erano scaturiti di conseguenza. Punto.

Questo “piccolo” album, della durata di appena mezzora, esce nel 1974. La mestizia si lega alla speranza in modo davvero suggestivo e in soccorso a questi due sentimenti - che fanno da leit motiv all’intero album - viene la gran quantità di strumenti della tradizione cilena: i fiati soprattutto. Il flauto cileno, spesso desolante (Corazòn Maldito), spesso coraggioso e incalzante (Calamito Temucano) e accompagnato da arpeggi di chitarra (o charango o tiple) delicati che cercano di rincuorare; le percussioni, in secondo piano, affidate alle maracas, al bombo, al pandero; e poi le voci, perentorie, che lasciano intravedere la forza del disappunto in crescendo coinvolgenti o in cori che incitano il canto.

E invece ahimè, questo disco si ricorda soprattutto per un fortunato ultimo brano che dice: “el pueblo unido… ” e così via. Insomma, nonostante l’opera di mercificazione che ne è stata fatta nei totalitari anni 70, questo è davvero un grande album; nonostante gli Inti Illimani fossero diventati la bandiera di certi pseudo-intellettuali-sinistrorsi con la giacca di velluto rattoppata e il conto corrente gonfio (insomma quelli che a Valle Giulia fecero incazzare Pasolini, per intenderci… ), qui c’è vera musica.

Ecco, certe cose andrebbero (ri)ascoltate nonostante le inutili fiumane di parole scritte per commentarle.

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