Tony Iommi e Glenn Hughes. Fondere due anime in una sola creatura. “Fused” è proprio il termine che al meglio rappresenta quest’opera. C’è finalmente una fusione tra musicisti, che suggerisce l’intento di andare oltre le proprie inclinazioni. C’è Bob Marlette alle keys, lo stesso del disco solista “Iommi”, che arrangia al passo dei tempi e dei musicisti. Il lavoro rappresenta quello a cui porta un’alchimia frutto di una sperimentazione oramai decennale. Ok, per far tesoro di certi preziosismi è necessario saggiarne il background, ma un fruitore attento non può ignorare la prova superlativa di questo ennesimo connubio tra leggendarie icone dell’hard rock.

Le motivazioni ed i perché, per un fan qual è il sottoscritto, superano il razionale. Appellandomi al miraggio dell’ onestà pubblicistica mi rifugerò nel credo che “Fused” è innanzi tutto ben prodotto. Il salto tecnologico che questo decennio ha regalato al rock calza a pennello con il songwriting del perpetuo Iommi, colui sulle spalle del quale sono gravati i Black Sabbath in questi ultimi vent’anni. Il mentore del rock “ in cadenza” anche stavolta usa il mestiere, prima ancora che la classe. L’approccio “doom” con la sua diavoletto subito rivela l’ attitudine che più lo contraddistingue. La penultima traccia dell’ album, “The Spell” , rappresenta al meglio le inclinazioni del chitarrista di Birmingham, melodiche e gravose, liquefatte nell’appeal heavy blues del cantato. Sopra le righe anche il lungo brano di chiusura “I Go Insane” . La cosiddetta doom-ballad di questo lavoro, nelle semplici ed a sua volta mutevoli strutture, ci insegna che il pathos non è prerogativa solo delle dinamiche in sordina. Anche l’ ugola di Hughes (basso e voce dei Deep Purple del periodo funky anni 70) sembra non volerne sapere di lasciare strada al tempo che passa . Il singer inglese ci regala stoccate di fioretto. Ascoltare per credere “Wasted Again” , e sfido qualsivoglia rockster dell’ ultima ora di auto-celebrazione mediatica nel cimentarsi con simili vocalizzi. Episodio in stile spiccatamente più moderno è l’ opener “Dopamine” , brano che potrebbe benissimo figurare come hit nell’odierno calderone del nuovo metal americano (e guai a chiamarlo “nu metal” che è già passato di moda ancor prima di nascere). Cenni di lode merita anche “Grace”, costruita su di un classico riffone à la Iommi ed impreziosita dall’ ensemble creato da un certo gioco di effetti e arrangiamenti. 

"Fused" è un lavoro d’ alta scuola Hard Rock, ed è pure abbastanza ben assemblato: non manca il filo conduttore che dovrebbe guidare ogni buon disco tra una traccia e l'altra. Questa è gente che non deve dimostrare niente a nessuno, e che soprattutto non deficita di classe. Mi pronuncio in una votazione anche se il cuore non mi consente di dare un giudizio razionale. Ma se ci si nutre di un certo tipo di hard rock, è forte la tentazione di gridare al miracolo.

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