Questa è anche la storia di un trauma artistico e di un faticoso cammino collettivo verso una parziale rinascita. Led Zeppelin e Deep Purple a tonnellate, ovviamente, e Jimi è sempre Jimi, ma negli anni della adolescenza ero soprattutto un amante felice del progressive, immerso nella luce di capolavori sbalorditivi e copiosi e mai sazio di aperture sinfoniche, arrangiamenti ambiziosi, chiaroscuri, dissonanze, tempi dispari e quant’altro. (Una pacchia, tra discografie italiane ed estere). Inutile e doloroso ricordarlo, ma nel breve volgere di qualche stagione restammo orfani in milioni, orfani di un intero genere musicale in pensione anticipata oppure venduto all’airplay, additati al pubblico ludibrio e ridotti a scambiarci clandestinamente fondi di barile, scampoli di serie B e rarissimi bootlegs (ringrazio qui l’amico M. – alias Gnuvo – che ne stampò comunque tanti in quel periodo).

Il tracollo non durò molto, comunque: cinque o sei anni. Intorno al 1983 la rinascita artistica del progressive era divenuta percepibile, con gran gioia di coloro i quali avevano tenuta alta la bandiera nonostante tutto (tra gli artisti citerei almeno Eloy e Enid), e circolavano ampiamente i nomi di formazioni coraggiose che avevano osato sfidare il bando affrontando i palchi europei: Marillion, ovviamente, Pallas, Pendragon, Deyss, Twelfth Night e soprattutto, per quanto mi riguarda, gli IQ.

Gli IQ hanno la caratteristica di avvicinarsi più di ogni altro gruppo neoprog alle sonorità ed allo stile degli album solisti di Steve Hackett, soprattutto ‘Spectral Mornings’. Analogo è lo stile delle tastiere e delle chitarre, raggiungendo così un equilibrio strumentale che neppure i Genesis avevano voluto conseguire (almeno fino a ‘Wind And Wuthering’) e che negli Yes è sempre stato ‘contaminato’ dalla componente folk/ragtime di Steve Howe e dallo spiccato classicismo di Wakeman. Tastiere quanto mai avvolgenti ma mai ‘invadenti’ ed una chitarra assai presente si accompagnano a belle sonorità rotonde e profonde di basso e puntuali geometrie ritmiche, mentre la voce di Peter Nicholls ricorda da vicino il Gabriel maturo e stridulo di ‘Back In N.Y.C.’. Una band in grado di piacere anche ai cultori delle sonorità anni Ottanta, dunque, nonostante una vena musicale 100% progressive e la prevedibile attitudine a comporre le solite cosine da otto - dieci minuti in su. (Fortuna che c’è sempre gente che ha voglia ed è in grado di farlo).

‘Tales From The Lush Attic’ (1983) ed il successivo ‘The Wake’ (1984) sono i frutti migliori del quintetto inglese, tra i prodotti più equilibrati e maturi del neoprog, e furono salutato all’epoca per i capolavoro che obiettivamente sono. Riferimenti immediati furono riscontrati nella musica dei Genesis e degli Yes, avendo a mente soprattutto ‘The Lamb Lies Down On Broadway’ e ‘Going For The One’, ma gli IQ si dimostrarono subito dotati di un particolare equilibrio tra l’enfasi tipica del genere e la misura richiesta dallo scenario degli anni Ottanta pur senza divergere di un millimetro dai fierissimi canoni progressivi. Per dire: nel primo disco ci sono una suite di 20 minuti e due brani di 14 e 7 minuti, mica roba da passaggi radio. E’ pur vero che gli IQ si dimostrano subito capacissimi di generare anche pezzi più ‘leggeri’, geniali e divertenti, come la famosa ‘Corners’ o la goliardica contaminazione reggae-prog di ‘Barbell Is In’, ed è parimenti cognita la leggendaria attitudine della band a non prendersi assolutamente sul serio e a non montarsi mai la testa (nonostante il relativo ma immediato successo), ma tutto questo non fa che confermare la maturità di una formidabile formazione che non intende soccombere al proprio mito improvviso né alle eccessive prolusioni, musicali e mentali, che da sempre rischiano di imbrigliare spontaneità e freschezza dei musicisti progressivi.

Insomma, in un paio di anni gli IQ consegnano alla storia del prog non meno di una decina di brani memorabili, incluse le due importanti outtake che hanno poi trovato posto nelle edizioni digitali dei due albums. Epiche e classicissime ‘Awake And Nervous’ e ‘Outer Limits’ (quest’ultima tra i migliori brani prog di ogni tempo), lunghe e strutturate ‘The Last Human Gateway’, ‘The Enemy Smacks’ e ‘Widow’s Peak’, ma tutti i brani raccolti nei due dischi sono pregevolissimi e personali. Si dice che fossero tutti più o meno scritti ed arrangiati sin dal 1982, e questo giustifica la sostanziale identità stilistica delle due uscite discografiche (più soffermato ‘Tales’, un poco più asciutto e levigato ‘The Wake’). Ora dovrei dire che non si tratta certo di rock romantico, in considerazione del tenore indiscutibilmente rock delle composizioni, ma si tratta invece anche di rock romantico, per la bellezza e la frequenza degli inserti arpeggiati ed assorti. Atmosfere misteriose ed evocative si intersecano con l’incedere roccheggiante dell’impeccabile sezione ritmica, sempre dotata di un bel basso pieno e rotondo e di drumming di notevole spessore tecnico, e di una chitarra che si concede spesso liquidissimi interventi solisti, il tutto mentre i brani girano e cambiano sotto le nostre orecchie in un bel caleidoscopio di chiavi espressive. Quanto a Martin Orford, adoro questo tastierista perfettamente in grado di suonare ‘a la Wakeman’ (‘The Enemy Smacks’) ma anche di pennellare sobriamente atmosfere e suggestioni senza prendere il sopravvento, avvolgendo anzi la magia della voce in uno stile che complessivamente ricorda molto quello del Nick Magnus della corte hackettiana.

Dopo un live interlocutorio e sin troppo conciso, gli IQ ci regaleranno un altro paio di ottimi album prima di perdersi in una serie di uscite discografiche sempre ad altissimo livello, ma decisamente meno geniali ed immediate di quelle degli anni Ottanta. Nessun cono d’ombra per loro ed una fede progressiva portata avanti con intelligenza, talento ed ispirazione, ma è evidente anche ai fans più inteneriti che la loro produzione migliore risale ormai definitivamente a quel folgorante triennio in cui milioni di figli perduti ritrovarono una famiglia musicale e contestuale. Lo sapevamo, lo aveva predetto l’Arcangelo (‘…Lord of Lords, King of Kings / has returned to lead his children home / to take them to the new Jerusalem…’) e con questi due capolavori, oltre che con gli albums degli altri artisti sopra ricordati, avveniva la rinascita nel Verbo progressivo.

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