Irene Grandi è uno dei punti interrogativi della nostra musica italiana: è continuamente sospesa tra pop rock commerciale e canzoni più introspettive. Bella voce, ma fino ad ora nessun suo album mi ha convinto. Questo farà eccezione? In parte si.
Irene cerca tramite le sue delusioni sentimentali e la sua successiva rinascita sia sentimentale che artistica (non faceva un album di inediti da 5 anni) di fare un album più convincente e ricercato. In parte c'è riuscita: ha messo da parte le chitarre e ha fatto largamente uso di sintetizzatori (qui c'è la grossa impronta del produttore Pio Stefanini) ed ha modificato in parte anche il suo cantato (quasi parlato nelle canzoni "strada sterrata" e "l'amore che viene e che va"). Dall'altra parte c'è un lavoro privo di particolari picchi e un paio di canzoni risultano un po bruttine ("tutti più felici" e "mi manca" dove sembra tutto un po forzato e stantio). Non mancano le collaborazioni illustri: "la cometa di halley" scritta da Bianconi e "stai ferma" di Getano Curreri entrambi bellissime canzoni (anche se nella prima l'influenza del cantante dei Baustelle è fin troppo marcata). Bello anche il singolo "alle porte del sogno", ma la canzone migliore a mio parere è "greensburg": grande testo e un bel pop con chitarra acustica a sostenere la buona prova canora di Irene.
A queste si aggiungono le ballate "onde nere" e "intendevi", le due traccie più particolari dell'album (le sopra citate "strada sterrata" e "L'amore che viene e che va") e il pezzo più rock dell'album "ma". Il risultato è un album più maturo e ricercato dei precedenti, ma che presenta ancora un alone di pop rock commercialotto che annebbia diverse canzoni. Una mezza svolta rispetto al passato, ma occorre fare un altra mezza svolta per scrivere le parole "artista matura" sul nome di Irene Grandi.
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