Siamo alle solite: l'ennesimo gruppo new wave di poche speranze, sepolto dal tempo e dalla polvere e rivalutato, grazie all'azione divulgativa di qualche collezzionista, in ambito "internet". Dopo Dark Day e Solid Space, vi presento gli Iron Curtain.

Meno tetri del progetto del buon Robin Lee Crutchfield e meno asettici dei Solids .

Una synth-wave (o minimal-quel-cavolo-che-vi-pare) piena di malinconia ma anche di momenti più solari e "easy".

Un prodotto sicuramente underground ma che, a ben pensarci, avrebbe potuto anche ambire ad alti posti nelle classifiche dei primi eighties. Eppure qualcosa non andò per il verso giusto.

La presenza di una manciata di brani troppo "gloomy", una produzione non pulitissima e l'aver scelto (come del resto molte altre bands) di licenziare i propri Ep per una indie label; hanno condotto gli Iron Curtain verso la disfatta.

Anche in questo caso: non stiamo parlando di una perla perduta e nemmeno di un progetto insabbiato dai soliti stronzi dello show-biz. Parliamo, per l'appunto, di un disco piacevole, intrigante e sicuramente apprezzabile dai fan di New Order, primi Depeche Mode e da chi, come me, ama nel complesso tanto il synth pop meno banale quanto la new wave.

Pezzi come "Tarantula Scream", "Anorexia" e la superba "The Condos" ci ricordano che, volenti o nolenti, la band ha percorso la stessa via crucis dei campioni del "dark" anglosassone.

Canzoni come "The Burning" e "Telephone", invece, denotano una maggiore predilizione per il ritmo "danzereccio" e rilassante.

Iron Curtain: Cortina di ferro. Quella fredda e invisibile linea che divideva l'occidente euro-americano dal regno del socialismo reale. Non ho analizzato con attenzione i testi della band. Non saprei, quindi, dirvi se essi presentano o meno riflessioni politiche e sociali. Quello che è certo, comunque, è che questi ragazzi americani vivevano in piena "guerra fredda". Lo spettro della catastrofe nucleare e la consapevolezza di vivere nel paese "simbolo" del blocco occidentale, devono aver spinto i nostri a formulare qualche considerazione in merito. La copertina dell'album, poi, ben esemplifica questo concetto. Divisione, lontananza e incomunicabilità. Anche, e sopratutto, in termini esistenziali più che geopolitici.

Suoni malinconici, mai disturbanti e sempre percorsi da un lieve coltre glaciale. Non si tratta di un album, bensì di una raccolta che raggruppa lo sparso materiale della band.

Ok, non cambieranno la vostra vita questi americani! Ma, di certo, sapranno proiettarvi in un'epoca ormai distante. Forse con un pò di nostalgia.

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