Comincio col dire che è un po' che lo sto ascoltando e fra tutti gli album della Vergine di ferro questo è sicuramente fra i meno immediati e in qualche modo fra i più difficili a entrarci dentro.

Si comincia col discreto speed di Different World che sfoggia un'orecchiabilità immediata e un ritornello inusuale dove sembra che Bruce sia accompagnato da voci diverse dalla sua. Un elemento di novità questo registro più basso del nostro grandissimo Bruce che dovrebbe esplorare più di sovente queste altezze invece di tenersi sempre a un livello semi-operatico che alla lunga può anche stancare. Menzione speciale va a McBrain che in questo come in altri brani si mostra abilissimo nei cambi di tempo e particolarmente creativo nei fillers. Voto 7.5

Si passa a These Colours Don't Run che gronda epicità e di cui non si può fare a meno di cantare bridge, pre-chorus e chorus, anche gli assoli sono fatti benissimo e le tre chitarre sono usate a dovere. Voto 8

Brighter Than a Thousand Suns oltre ad essere una bellissima canzone ha anche un testo particolarmente profondo (più brillante di mille soli è la bomba atomica) e scorre che è un piacere fra riff massicci, cambi di tempo trascinanti e melodie vocali da applausi, si torna all'arpeggio iniziale col basso sempre presente che la fa da padrone e Bruce che tesse un ritornello in crescendo dove il battito del cuore ti cresce in petto e la testa non può che andare avanti e indietro, head banging, mid tempo ma head banging. Dopo uno dei millemila assoli divini di chi? (sembra Smith) c'è un passaggio di chitarre rocciose e poi Bruce che torna a volare alto fino al concitatissimo tripudio del finale. Un trionfo di canzone. E non c'è un secondo da togliere nei suoi 8 minuti e 46 se è questo che vi state domandando. Voto 9

Si continua con The Pilgrim dai riff e dalle melodie vocali sicuramente accattivanti e dagli stacchi orientaleggianti in piena tradizione maideniana. Se non sentite l'urgenza di cantare changing the water into wine fatevi vedere da qualcuno. Fra l'altro l'overdub di voce alta e bassa di Bruce è come sempre da maestro. La canzone ha un bel ritmo sostenuto e dura "solo" 5 minuti.

Voto 8.5

Enter The Longest Day: si comincia al solito con arpeggio e basso in prima linea, un cantato minaccioso e trascinante che narra di tristi e devastanti vicende di guerra, dello sforzo torturante di turn men from flesh and blood to steel, di convertire sangue e carne di uomini in acciaio, fino a quando si apre in sliding we go... brividi, nel frattempo c'è la solita galoppata che non molla un attimo fino a quando non si arriva al ritornello che, per quanto bello, viene ripetuto un attimo troppo e qui 2 o 4 giri se li potevano risparmiare. Stacchi belli pesanti dove McBrain fa impressione e le chitarre non danno tregua fino all'armonizzazione fantasy. Voto 9 solo perché qui sì, si poteva evitare qualche lungaggine di troppo.

Ed adesso è il turno di Out of the Shadows che è l'unica del disco che può dirsi una ballata dove il vibrato di Bruce e la chitarra (di Smith?) la fanno da padroni, bella melodica ma non esaltante, con un ritornello ripetuto veramente troppe volte. Qui i Maiden ci propongono gli stilemi dell'AOR (adult oriented rock) sullo stile di loro altre ballad degli anni 90 soprattutto Wasting Love. Voto 7

The Reincarnation of Benjamin Bregg accoglie giudizi misti: chi pensa sia un capolavoro, chi un flop, io mi colloco nel mezzo. Certamente Bruce che canta e alla fine quasi sussurra (per i suoi standard) Let me tell you 'bout my life, let me tell you 'bout my dreams è da pelle d'oca e ipnotizzante. La canzone si snoda poi in un mid-tempo di sicuro interessante anche da un punto di vista lirico con delle melodie vocali e un ritornello di sicura presa che viaggiano supportatre da riff di basso (sempre bello audibile e godibilissimo) e chitarra rocciosi e puntuali, cose come si deve, come sanno fare i nostri. Da menzionare che questo è l'unico pezzo che vede Murray come autore insieme a Harris.

A questo punto l'album è sì bello ma avrebbe bisogno di ingranare un'altra marcia per svegliare un po' l'ascoltatore che corre il rischio di annoiarsi un attimo. Voto 7.5

For the Greater Good of God dura 9 minuti e 25, comincia col lento e qua siamo in territori veramente già battutissimi, naturalmente con maestria ma non mi sento di mettere da parte l'accusa di ripetitività ed è questo forse il punto debole dell'album. Una prestazione vocale colossale (e ci mancherebbe) di Bruce comunque trascina alla grande questo pezzo che ha un pre-coro e un coro cantabilissimi. Manca il vero colpo di coda ma ci si mantiene su livelli comunque alti. 7+

Siamo agli ultimi due pezzi, Lord of Light seppur riproponendoci per l'ennesima volta la struttura partenza lenta con arpeggio-crescendo fino al ritornello-discesa finale con chiusura lenta ed epica (mi sa che sono 6 canzoni su 10 a seguire grosso modo questa formula) affascina e ammalia per un cantato sussurrato (all'inizio) e delle chitarre veramente ipnotiche, soprattutto verso la fine con assoli veramente degni di nota, siamo sempre sul buono ma non troppo. Voto 7

E arriviamo finalmente all'ultimo pezzo The Legacy, un altro pezzo bello lungo: 9 minuti e 23.

Si parte con 3 minuti interessantissimi dove delle melodie chitarristiche che possono definirsi rinascimentali fanno da contrappunto alla voce di Bruce; c'è bisogno di aggiungere un aggettivo alla voce di Bruce? Se volete, fate da voi. Ma niente meno che sensazionale. Si continua poi con un pezzo interessantissimo e tutto da esplorare, tutto chitarre sfavillanti e cambi di tempo, uno di quei pezzi che ha bisogno di più ascolti per far capire veramente quanto vale e una chiusura del disco che risolleva le sorti che si erano un attimo appiattite con gli ultimi pezzi. Voto 8.5

In definitiva questa fatica dei nostri targata 2006 pur non essendo un disco per tutti e non per ogni momento è comunque una gran bella opera d'arte e si merita sicuramente un voto finale di 8/10.

Forse non il disco da ascoltare in ogni situazione, i testi sono delle belle mazzate di disperazione, tragedia e guerra. Sicuramente il fatto che Paschendale sul precedente Dance of Death sia uno dei pezzi migliori di tutta la discografia degli Iron gli ha fatti entrare nel trip guerriero. Non esaltano più le gesta epiche come negli anni 80 ma ci offrono riflessioni più mature su quanto sia triste e insensata la guerra. Spero vi sia piaciuta questa recensione track-by-track.
E' la prima volta in vita mia che scrivo una recensione così lunga, sono benvenuti i commenti. A voi piace A matter of life and death?
UP THE IRONS!!!!

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