9 Agosto 1984, Varsavia, Polonia: dopo cinque album in studio culminati con l'uscita di "Powerslave", gli Iron Maiden iniziano il loro World Slavery Tour. Se stessimo parlando di un'epidemia i luoghi interessati dai concerti della band non avrebbero lasciato scampo all'umanità ed oggi nessuno starebbe qui a scrivere l'ennesimo pezzo su di loro. Trecentoventidue giorni, centoottantasette concerti, centomila miglia percorse, settemilasettecentosettantotto alberghi, miglilaia di corde, plettri e bacchette utilizzate, decine di migliaia di lattine di birra, bibite, succhi di arancia e pinte di latte ingerite. Un anno vissuto pericolosamente, al limite delle possibilità musicali umane e terminato a Los Angeles dopo aver toccato Giappone, Brasile, Hawaii e Australia.

Mettere sui solchi di un vinile le loro performance dal vivo fu in quell'anno quanto meno doveroso, visto che il gruppo non realizzerà più da quel momento in poi una sequenza così lunga di album al limite della perfezione, per quella che venne chiamata la nuova ondata di metallo pesante britannico. Qui parliamo solo della versione uscita per cd, che immortala brani dalle quattro serate tenute all'arena di Long Beach di Los Angeles, ma esiste anche la versione in doppio, con l'aggiunta di cinque brani suonati all'Hammersmith di Londra.

Dall'introduzione a "Aces High" con il discorso di Winston Churchill alla nazione britannica, passando per l'inno inglese di Chesterton che dà il via a "Revelations", fino ai versi recitati e cantati di "Rime Of The Ancient Mariner" di Samuel Coleridge, in questo live ci sono tutti gli stilemi della loro radicata fisionomia anglosassone. Tutto è registrato in maniera perfetta se si considera l'anno di pubblicazione, con un grosso lavoro di rielaborazione apportato in fase di missaggio dall'esperto Martin Birch, cosa che al momento dell'ascolto ti fa quasi sembrare di essere all'interno di uno studio di registrazione invece che nella bolgia tipica di una loro serata. E questo può non essere un bene per un disco dal vivo e per chi ama poter riconoscere le sbavature dei propri idoli, anche solo per sentirli più umani e vicini a te che sei stato sotto quel palco o sogni di esserci.

Restano comunque nella mente tutte le dodici perle qui presenti, inni generazionali di milioni di esagitati ragazzini dipendenti dal Topexan, così come i fraseggi di chitarra di Murray e Smith che si inseguono senza soluzione di continuità ad esempio in un capolavoro come "The Trooper", ed i vocalizzi di Dickinson intento un attimo prima ad esortare la folla al grido di "...scream for me Long Beach!!!" all'attacco di "Flight of Icarus". Un live necessario, anche fin troppo perfetto quindi, ma che negli anni, assieme alla sua iconografica, stellare copertina, è trasceso dalla sua reale natura per diventare il manifesto di un'epoca e di un genere musicale.

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