Ogni tanto rileggo qualche recensione che ho scritto su questo bel ricovero di pazzi e rido. Rido, perché sebbene non siano passati che una manciata di anni i miei gusti sono cambiati in modo radicale: proprio questa settimana stavo ascoltando un cd degli Ultravox e uno dei Talking Heads. Dischi che mi sarebbero risultati indigesti nel 2008 quando, ormai venticinquenne, non consideravo degni attenzione gruppi che non sapessero snocciolare tapping da tendinite, doppio pedale e voce da castrato capace di tenere la stessa nota per almeno trenta secondi. Il mio autore preferito al tempo era uno tra Clive Cussler, Tom Clancy o Dan Brown. Fate voi. Al cinema ci andavo quasi esclusivamente per vedere spara e ammazza o commediole romantiche (bei tempi!), mentre ora mi piacciono anche lavori impegnati e spulcio vecchi film che non trasmettono più alla televisione. Qua ci vogliono delle parolacce da giovine, perché altrimenti mi deprimo, cazzo! Sono diventato vecchio e non me l'hanno nemmeno detto. Metà di quello che ho (de)scritto non mi rappresenta più ma questa, se ci rimugino un po' sopra, è una cosa che mi fa sentire bene perché trovo sia alquanto grigio non cambiare opinione. Avere dei gusti imbalsamati nel cemento non fa per me. Proprio ieri ho rivisto "Matrix" in paese; quello che dall’ uscita dell'omonimo film ha perso il suo nome di battesimo e si è trasformato in "Neo". Se ne va in giro con lo stesso impermeabile nero e gli occhiali da sole che andavano di moda sul finire degli anni '90. Il fatto è che adesso ha l‘età di Gesù Cristo sul Monte Golgota e non mi fa più ridere molto!
Mi piacerebbe avere gusti lontani da quelli odierni anche tra dieci anni; e così la settimana scorsa ho provato a leggere un libro che mi ero sempre rifiutato di aprire nonostante i diversi inviti di mio fratello maggiore. Toh, guarda, ora ci scrivo pure una recensione per quanto sia un parolone, vista l'ignoranza in materia.
Credo che buona parte della colpa sia di Star Trek e Star Wars. I pigiami li ho sempre odiati al punto da ritenerli incostituzionali per i bipedi che hanno superato il dodicesimo anno di vita: gli effetti speciali dell’epoca uniti a quelle uniformi da carnevale gaio mi hanno reso irrimediabilmente allergico alle seghe di Capitan Chirc. Un po’ come quella sbronza al mare ha fatto sì che fosse impossibile per me, dopo quella notte, ingurgitare rum senza sentire un conato correre verso l'uscita. Per quel che concerne la trilogia di George Lucas, vista e rivista con piacere, non sono mai riuscito a appassionarmi alle opere che basano tutto sulla dicotomia bianco bianchissimo contro nero nerissimo. I personaggi, poi, erano delle macchiette fin troppo esagerate una volta passata la fase adolescenziale. Da bambino ignorante credevo che la fantascienza fosse tutta lì, con una spruzzatina di robot, cupo pessimismo piovoso ("Blade Runner") e un po’ di delirio mentale dello stesso Philp K. Dick. A proposito: quello stronzo, in senso buono ovviamente, con i suoi ghirigori mentali da camicia di forza ("Ubik") mi aveva ingolfato il cervello per un congruo numero di giorni dopo la lettura. Non mi avvicinò certo al genere. Avevo sfogliato anche qualche libro ignobile di sconosciuti autori anni '50/'60 la cui trama vedeva uno scienziato pazzo impegnato a costruire con un frullatore e due lattine di birra (MacGyver non si è inventato nulla, rassegnatevi) una macchina del tempo.
TRILOGIA DELLA FONDAZIONE
Non serve essere esperti di matematica o fisica per apprezzare un’opera che a parer mio è affascinante e si avvicina molto anche alla sociologia. Non ci sono alieni ridicoli dai volti fantasiosi ma è la cara, vecchia e semplice umanità, con una sparuta spruzzatina di mutanti, che popola e governa la galassia. È in disfacimento un impero colossale, (il riferimento al crollo dell’Impero romano è palese), la cui capitale è una città che ha inglobato un intero pianeta per quaranta miliardi di individui. La galassia è composta da milioni di mondi e solo gli stati periferici godono di libertà ed indipendenza. Un geniale psicostorico (Hari Seldon il suo nome), tramite i suoi studi verrà a conoscenza del fatto che l’Impero dovrà collassare in cinquecento anni. Il dato è ineludibile e l’unica cosa possibile, per evitare trentamila anni di oblio, è creare due fondazioni, culle del sapere matematico e psicologico, che dovranno superare diverse crisi per riuscire a dare alla luce un nuovo impero minimizzando a "soli" mille anni il tempo di interregno. Le fondazioni non verranno guidate dalle previsioni del loro ideatore in quanto la conoscenza del piano nel suo insieme ne precluderebbe la riuscita.
Senza voler svelare nulla la trilogia, piena di colpi di scena e scritta in una prosa scorrevole, (per quanto si senta il ricamo effettuato per unire i diversi racconti), è un’opera originale ed intelligente capace di sviscerare la natura umana: i suoi aspetti più meschini uniti con quelli più meritevoli. Quella che viene giocata è un’infinita partita a scacchi nella quale vengono soppesate con dovizia le azioni tenendo conto della controparte in un'ottica di lungo periodo. Forse dovrebbe prendere appunti la classe politica mondiale. Mentre la trama si snoda tra lo spazio, Asimov analizza il nostro mondo dal punto di vista politico, religioso, commerciale e militare con un affresco di rara complessità e profondità. L’autore non crea personaggi particolarmente gradevoli e ruffiani per assicurarsi un best sellers (il fatto che lo sia diventato è un'altro discorso). Basti pensare che le innumerevoli battaglie non vengono descritte nel modo più assoluto evitando in ogni modo la spettacolarità. La trama viene scritta con fare enciclopedico: solo un protagonista, il Mulo, prevale per un tempo comunque limitato sugli altri. Gli attori principali sono una sequenza infinita di nomi che si snoda generazione dopo generazione per i quattrocento anni di storia descritti. Credo sia questo il motivo per il quale Hollywood non è ancora riuscita a trasporre in immagini tutto questo immenso dipinto di Asimov.
Sono basito e contento di aver fatto la conoscenza di un'opera assai lontana dai miei generi preferiti, non facilissima da leggere, ma assai stimolante e attuale a settant’anni dalla sua pubblicazione. Il fatto che possa risultare parzialmente indigesta ai fan delle astronavi, dei pigiami spaziali, delle spade e dei raggi laser, degli alieni dalle forme più curiose e vattelappesca; tutto questo, dicevo, mi fa apprezzare ancora di più la "Trilogia della Fondazione" che non è mero intrattenimento, ma fantascienza al suo stadio più alto.
Chissà, magari mi leggerò anche qualcosa di Clarke, Anderson e Heinlein. Chi l’avrebbe mai detto solo due anni fa, quando prendevo per il culo mio fratello per la sua collezione degli Urania.
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