Lo scroto di certi tanuki si può trasformare in dragoni e velieri. Ma nemmeno la terrificante processione di mostri per le vie di Tokyo può fermare la bramosia dell'uomo, che ha deciso di distruggere la montagna - casa di questi deliziosi animaletti - per farci un nuovo quartiere residenziale. Attenzione, nel testo ci sono alcune anticipazioni della trama.
Sono soggiogato dalla bellezza di questo film che mi è stato caldamente consigliato da un amico, nonché utente di Debaser. Principessa Mononoke di Miyazaki è uno dei miei preferiti in assoluto, e questo ne è il perfetto completamento, l'altra metà della Luna. Nello Yin e yang quella di Takahata è la macchia nera, l'ombra. E mi vengono in mente tante dialettiche e contrapposizioni che si sviluppano a distanza tra i due film: in realtà fu Mononoke una risposta a Pom Poko, essendo uscito tre anni dopo. Ora posso capire e apprezzare ancor di più quello, oltre a rimanere con gli occhi sbarrati di fronte alla ricchezza concettuale e ai giochi di tonalità di questo.
Sembra un documentario, a tratti. C'è una voce fuori campo che spiega quasi scientificamente (l'adattamento è di Cannarsi, ahinoi) le operazioni portate avanti dai tanuki per fermare l'avanzata umana. Il che è quasi paradossale, visto che queste creature appartengono più al fantastico che al naturale. Come anticipato, possono addestrarsi al trasformismo e diventare sostanzialmente qualsiasi cosa, ma è uno sforzo immane, oltre a un sacrificio, un allontanarsi dalla propria casa e arrendersi al destino di perderla.
Ma tutta l'opera vive di paradossi e toni che volutamente contraddicono la gravità dei temi, quasi per farne una farsa, e lasciare al solo spettatore attento la possibilità di capirne il sottotesto. E qui il sottotesto è tutto o quasi. La battaglia non è tra natura e uomo, tra animali e cemento. La battaglia è tra il mondo della tradizione, della fede, il mondo lento e antico, e quello moderno, frenetico, senza dio e senza superstizioni, senza paura e senza un'idea di casa come luogo delle radici. La casa è una scatola di cemento collegata al centro di Tokyo con un treno veloce, l'importante è la comodità, non lo spirito del luogo in cui le generazioni prima della tua hanno vissuto e faticato.
I tanuki sono un altro volto degli uomini, sono un certo tipo di umanità. Sono realmente appartenenti alla mitologia giapponese e qui la rappresentano in toto. Ma anche loro sbagliano, sono stupidi e cattivi. Solo, non vogliono arrendersi all'idea di una vita sradicata, come hanno invece già fatto le furbe volpi. È una battaglia contro i mulini a vento, ma non ci si può arrendere senza combattere.
Il trasformismo è un modo cartoonesco per rappresentare tutto ciò che nella cultura umana non si vuole sottomettere alla pura logica del profitto e del progresso. È la sana paura che dovrebbe assediare lo spirito umano quando decide di distruggere il verde intorno. Ma non ha un vero potere concreto, non può smuovere i palazzi. Può solo agire sull'animo umano, intimandogli prudenza. Ma l'uomo industrioso e postmoderno non accetta spiegazioni che non siano scientifiche, e una parata di mostri viene spiegata come trovata pubblicitaria da parte di un parco dei divertimenti.
Rispetto al Miyazaki di Mononoke, Takahata è più morbido nella raffigurazione, non disdegna semplificazioni e tratti da animazione per bambini, pur di indorare la sua pillola. Non c'è epica qui, è tutta una carnevalata, in apparenza. Ma questo perché la pillola che ha in serbo è molto più amara e credo che l'amico Hayao abbia reagito per trovare una ricetta meno tossica, per leggere il mondo con occhi meno cinici. E per farlo ha creato un dio (bestia).
La visione del maestro Isao è arricchita da un corollario complesso di reazioni. Siamo in una sorta di documentario e la precisione è essenziale. Così, abbiamo tanuki che diventano terroristi, altri che si danno all'esibizionismo in tv per convincere gli uomini. C'è il maestro che si arrende e si imbarca verso una morte dolce, c'è chi abbraccia (con fatica) la civiltà umana e chi resta selvatico, con tutti i rischi che questo comporta. Il finale è un anti climax, che vuole rappresentare la lenta agonia del “mondo antico” portata dal “mondo moderno”. Il culmine della tensione, quasi horror, è nel cuore del film, al centro, quando la città viene invasa dagli spettri. Una danza macabra per l'uomo moderno, senza paure e senza radici, senza superstizioni e senza magia.
Carico i commenti... con calma