Il tempo è declino. Chiunque vi dica l'opposto vi sta mentendo spudoratamente. Il tempo tende ad ingrigire le cose, le deteriora, la noia diventa padrona delle nostre giornate, e le novità non solo si assottigliano ma diventano evanescenti. E poi viene il momento di osservare ciò che è stato.
Il 13 luglio del 2009 ero una persona differente. Chi non lo era? Non saprei, io lo ero di certo. Osservavo con attenzione il viso di ognuno di loro emergere e annegare tra le luci sul palco dello Spazio 211, li guardavo come fosse il mio ultimo concerto. O forse il loro. Sui loro visi si dipingevano ombre marcate anche quando erano totalmente illuminati, i segni del malessere erano nascosti da qualche parte e tendevano ad emergere. Ma gli Isis sono sempre stati questo questo. Un senso di fine incombente tra i riflussi eterei nascosti tra blocchi di cemento e grida disumane, una maledizione, un anatema, e una sensazione di salvezza che fanno quadrato attorno agli strumenti musicali.
E poi viene il momento di lasciare concerto. E di ricordarci di come sono stati quei crescendo che facevano da ponte tra un'eterna dannazione e un cielo terso d'estate in cui l'aria brucia le narici. E a volte tendi a dimenticare forme e particolari che avresti voluto rimanessero dentro di te. Puoi solo cercare di aggrapparti ai lembi del ricordo.
Poi si fa ritorno alle case che abbiamo abbandonato. Quando una cosa finisce si tende a non volersi vedere per un po', le solite pause in cui far sbollire la miriade di sentimenti che si agitano sottopelle. E allora si torna, sperando di non incrociare nessuno, per riprendersi qualcosa che è stato nostro. E invece si finisce per ritrovarsi tutti insieme. Guardarsi e non sapere che dire, abbozzare un qualche sorriso mentre, con lo scatolone in mano, si fa mente locale su cosa si è dimenticato. E si ritrovano cose che, in fondo, fanno stare bene tutti. Cose che non vogliamo si spargano qui e là in maniera inconcludente e casuale. Allora il pensiero di un lascito a chi vuole ancora vedere, sentire, provare chi si è stati stati sia dovuto. Se si è stati un'influenza a maggior ragione. Si trovano nastri, registrazioni vecchie di 10 anni con registrati i pezzi che da bambini facevano impazzire, altre più recenti, qualcosa rimaneggiato da amici, si trovano video, foto, si ride un'ultima volta su un ricordo, sul risvolto di un accordo, su un errore in studio. Poi ci si ricorda di tutto. E tutto finisce in una scatola grigia e triste. Triste come certa musica, bella come alcune storie che hai sentito e non ricordi dove. E tutti escono quando il sole è già calato, qualcuno si muove verso un viale costeggiato da palme, sotto le quali un amico li attende in auto, qualcuno torna ad un passato ancora emozionante, qualcuno torna semplicemente a casa solo.
Il tempo fa schifo. Ma a volte serve a diventare migliori. Basta ricordare.
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