Il qui presente "Wavering Radiant" dei bostoniani Isis è un disco che attendevo in maniera piuttosto ansiosa. Ho sempre avuto infatti una stima immensa per il gruppo in questione, preferendolo a un altro ensemble, i Neurosis, con i quali i nostri si trovano a spartire, volenti o nolenti, etichette varie quali post metal, sludge ecc (che poi tale catalogazione per gli Isis non si addica poi più di tanto questo è un altro discorso).
"Wavering Radiant" è un disco complesso, ancor più dei suoi predecessori. Più labirintico, con molti spunti settantiani e progressive, meno post rock (in questo senso il per me ottimo "In The Absence Of Truth" risulta tutt'oggi essere il disco che meglio ha sviluppato in chiave Isis questo genere), post metal e sludge senza dubbio, ma anche con discrete reminiscenze post (hard) core che i nostri sembravano aver per un attimo messo da parte dopo "Panopticon". Un disco di sintesi dunque? Può darsi. Vero è che i nostri tentano di andare oltre un genere che loro stessi hanno contribuito a creare, introducendo nuovi spunti (le trame progressive e quasi tooliane, non a caso tra gli ospiti abbiamo Adam Jones), arricchendosi di nuove sonorità facendole proprie e metabolizzandole, per poi ributtarle fuori a loro modo.
Il lavoro può dare spesso un senso di dispersione, di perdita di un filo conduttore, può presentare momenti insoliti, nei quali magari ti aspetti un crescendo strumentale o un serrato fraseggio sezione ritmica - chitarre - voce di Turner, e invece ti spiazza con una digressione in più, una spirale, un vortice che non credevi potesse nascere dal nulla: una nuova parentesi che si apre e che ti porta quindi lontano dal brano originale. Ma è forse proprio questa caratteristica che mi affascina tanto di questo lavoro. C'è modo e modo di divagare (musicalmente parlando). Ti puoi perdere in masturbazioni fini a se stesse, ghirigoghi sonori torcibudella e strizzacervelli (penso a qualcosa dei Mastodon), oppure ti puoi far trasportare dalla marea, far risucchiare dai gorghi, scoprire che anziché le profondità marine c'è un nuovo cosmo a accoglierti, iniziare a esplorarlo per qualche secondo, per poi essere nuovamente ritrascinato in superficie, proprio quando sembravi comprendere ciò che ti stava accadendo.
Questa sensazione mi accompagna perennemente durante l'ascolto delle sette (anzi, sei, escludendo il minuto e quaranta di titletrack, a momenti quasi rumore bianco, un po' inutile a dire il vero) tracce di questo disco. Tra le quali sono in difficoltà nell'eleggerne una superiore alle altre. Così come non ha molto senso farne una descrizione: fondamentalmente si tratta di chitarre liquide, ora distorte, ora che ruggiscono, avvolgenti e labirintiche come l'elettronica impiegata (in grossa parte), un basso finalmente dalla voce grossa e dal ruolo predominante, non schiacciato dalla batteria, e un Aaron Turner come sempre superlativo, sia nel growl che nel poetico clean. Unendo questi elementi al gioco di rimandi stilistici citati in apertura (sludge, post rock, post metal, post core, progressive) si ha un quadro sommario del lavoro dei nostri.
Personalmente non posso però non citare "Ghost Key", nella quale si respira a pieni polmoni l'alone progressive (il nuovo elemento introdotto dai nostri) e la liquefatta "20 Minutes/40 Years", nella quale aleggia, presente ma mai pressante, lo spettro delle composizioni più dilatate e atmosferiche (post rock?) di "Panopticon" e di "In The Absence Of Truth".
Non voglio descrivere altri brani, per non influenzare l'ascolto altrui. Chiudo la recensione con un avvertimento: è un disco ostico, imprevedibile, uno dei più difficili da fare proprio tra quelli prodotti tra i nostri. Ma, attenzione, è pure uno dei più belli, che a mio avviso si merita tranquillamente il massimo dei voti, alla faccia della dispersività che alle volte può lasciar trasparire.
Questi signori sono dei fuoriclasse, altrochè: buon ascolto e un bentornato agli Isis.
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