Il libro che mi ha tenuto compagnia in negli ultimi due giorni è stato il “Marcovaldo ovvero le stagioni in città” di Italo Calvino, una simpaticissima quanto profonda raccolta di novelle che vede protagonista, appunto, proprio Marcovaldo, una manovale sognatore e sempre in bolletta.
La struttura del libro, breve e molto scorrevole, si rifà appunto alle quattro stagioni: inverno, primavera, estate e autunno. Ad ognuna delle stagioni sono collegate cinque novelle, tutte aventi come protagonista Marcovaldo, alle prese con le avventure – e disavventure – più disparate. Il nostro eroe è un semplice operaio, assunto alla ditta Sbav e con a carico una numerosa famiglia composta dalla moglie Domitilla e dai suoi sei figlioletti, nei racconti ne sono nominati solo cinque: Isolina, Teresina, Pietruccio, Michelino e Filippetto. Lo sfondo di queste storie è una grande città industriale, dal nome imprecisato (con ogni probabilità si tratta di Torino, città nella quale Calvino ha vissuto per lungo tempo).
Le novelle cittadine a poco a poco delineano la personalità e – in piccola parte – la vita privata di Marcovaldo: è un povero manovale, addetto tutto il giorno allo scarico e al carico di merci, con perenni problemi economici e una vita familiare caotica, opprimente e sgangherata. Nonostante ciò, Marcovaldo mostra anche una certa sensibilità e intelligenza, nonostante la sua estrazione proletaria. Tutto ciò che ha che fare con il mondo della natura lo affascina oltre ogni modo; sicché spesso, nelle sue vicende, Marcovaldo si perde nei suoi sogni di evasione dal grigiore della città, per approdare verso scenari bucolici che lasciano intendere un rapporto con la natura molto profondo instaurato dal protagonista. Marcovaldo è un sognatore e forse anche un po’ ingenua e remissiva nei confronti dei suoi superiori e dell’autorità in genere, ma non è per niente stupido, anzi, uno dei leit-motiv delle novelle di Calvino sono proprio le trovate a dir poco astute del giovane operaio, che in tutti i modi si ingegna per portare a tavola qualche succulenta pietanza, o, comunque, per rendere meno cupa e grigia la sua vita. Nonostante ciò, tutti i tentativi di evasione dalla fabbrica – il magazzino – e dalle incombenze della vita economica si concluderanno con un finale tragicomico.
La famiglia Marcovaldo è la tipica famiglia proletaria degli anni ’60, alle prese con il “miracolo economico” italiano e catapultata d’improvviso dalla realtà rurale a quella industriale, ciò comporta la nascita di eventi comici, o per meglio dire, umoristici che portano il lettore a sorridere, ma anche a riflettere sulla condizione dell’uomo medio all’interno di un contesto nuovo – per l’epoca – ma moderno sotto tutti gli aspetti della vita quotidiana: i salari bassi, la precarietà del lavoro, le ristrettezze economiche, il consumismo, i ritmi vitali frenetici e sincopati, il rapporto con i colleghi e i datori di lavoro ecc.
L’opera di Calvino, rappresenta, quindi, un’ironica quanto feroce critica alla “civiltà industriale”, che accanto ai suoi pregi di modernità e progresso tecnologico ed economico, si porta dietro anche tanti altri difetti, forse meno materiale e più spirituali, ma che influiscono profondamente sul rapporto dell’Uomo con il mondo e la natura circostante. Una critica espressa in maniera eccelsa, senza retorica, con intelligenza e profondità di pensiero, utilizzando quelle armi che da sempre hanno fatto male ai “potenti” (umani e/o materiali): l’ironia e l’umorismo.
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