Si è già parlato molto delle ampie capacità chitarristiche e della bucolica creatività poetica di questo cantautore, inclinazioni professionali egregiamente sfruttate sia nelle sue composizioni in studio che nelle esibizioni dal vivo che il buon Ivan riuscì a portare avanti fino a che, ahimé, poco più che cinquantenne, il Capodanno del 1997 venne strappato definitivamente alla madre terra.
Stessa sorte toccò l’anno successivo a quel pignolo, maniacale demone sacro che fu Lucio Battisti. Ma perché nominare il vate di Poggio Bustone in una recensione di Ivan Graziani?
Semplice. Perché in un preciso periodo il percorso artistico porta i due musicisti ad incrociarsi e a viaggiare su di un unico binario.
Ivan già da qualche annetto si era fatto notare alla chitarra, oltre ad aver già inciso qualche singolo con l’Anonima Sound, (alcuni dei quali sotto contratto con la Numero Uno) e pubblicato una manciata di album solisti passati del tutto inosservati, tanto da farsi (ri)scritturare un contratto con la casa discografica di Mogol (sempre la Numero Uno, poc’anzi menzionata) con una già avviata carriera di collaborazioni, tra le quali con Herbert Pagani, P.F.M., Flora Fauna e Cemento, Bruno Lauzi o Gian Pieretti.
Battisti tornato da poco dagli Stati Uniti, nella seconda metà del 1975, prese a lavorare al suo nuovo progetto “La Batteria, Il Contrabbasso, Eccetera…“ che vedrà luce nel febbraio dell’anno successivo.
Lucio, che era un volpone, si ricordò appunto che quell’occhialuto chitarrista, odorava fortemente di un natural talento che lo distingueva da altri colleghi, tanto che lo accolse tra le sue braccia per offrirgli l’attiva partecipazione alle registrazioni del disco. In contemporanea Ivan prese al balzo anche l’occasione per valutare la creazione di un proprio album solista, tanto che iniziò a capo chino a gettare le basi per l’imbastitura di “Ballata Per Quattro Stagioni” con la supervisione, o per meglio dire l’appoggio morale dello stesso Battisti. Mai scelta fu più azzeccata.
Molti dei musicisti presenti ne “La Batteria, Il Contrabbasso, Eccetera…”, su tutti Lucio (violino) Fabbri, Claudio Pascoli al sax, Claudio Maioli alle tastiere e al pianoforte, il batterista Walter Calloni e il bassista Hugh Bellen, vennero fortemente consigliati da Battisti per la sezione sonora del nuovo album di Ivan Graziani, che procedeva quasi di pari passo nell’autunno di quell’anno con le registrazioni dell'lp di Lucio. L’esperienza si rivelò così felice che gli stessi musicisti, tranne Fabbri e Pascoli a fasi alterne, lavorarono per i successivi tre long plain di Ivan, “I Lupi”, “Pigro” e “Agnese Dolce Agnese” (eccezion fatta per Hugh Bellen che fu sostituito nel 1979, in “Agnese Dolce Agnese” da Bob Callero). Lo stesso Battisti ebbe modo in questa fase, oltre a “Ballata Per Quattro Stagioni" di seguirlo ancora e di rinnovargli la sua amichevole e professionale consulenza.
Nonostante furono i successivi lavori a temprarne definitivamente lo stile e a proiettarlo verso un meritato successo di pubblico nell'olimpo della canzone d‘autore, “Ballata Per Quattro Stagioni” si potrebbe definire quello che gli permise di spiccare il volo. Era quel piacevole ibrido (musicalmente parlando) tra l’Ivan sconosciuto dei primi album inosservati e l’Ivan che verrà.
E’ un disco ambizioso, e al primo ascolto quello che salta subito all’orecchio, è la presenza importante e gradevole, ma non invasiva e ridondante, dei fiati e dei flauti che in quasi tutti i brani fanno da elegante ornamento vestendo a tratti alcuni pezzi, con saggi ritmi fusion e progressive. E tenendo conto che l’arrangiatore dell’album fu Pascoli la cosa non stupisce affatto.
Ibrido perché effettivamente, tolta la strumentale “Trench”, dai toni rock e accattivanti, le chitarre sono ancora molto rarefatte a differenza dei successivi lavori, mentre il pianoforte, di base primeggia per quasi tre quarti dei brani.
La poetica colorata di amori (“Il mio cerchio azzurro“, “Come“, “E sei così bella“), di ricordi (“Ballata per quattro stagioni“, “Dimmi ci credi tu?”) di quel triste vissuto in provincia (“I giorni di novembre“, “La pazza sul fiume“) o di ironica quotidianità (“Il campo della fiera“, brano del 1973 con sola chitarra, rivisitato ed arricchito in questa nuova versione), sono gli argomenti capisaldo che verranno spalmati per i vent'anni successivi, su tutta la produzione di Graziani.
Ibrido in alcuni episodi, perché parrebbe quasi, sia stata data carta bianca ai musicisti, prima che alle scelte di Ivan, di imporre il proprio concetto musicale. Non che la cosa dispiaccia all’ascolto, ma l’ingresso di tastiere, sax, trombe ed ottoni, misti a giochi di salse fusion, non sono mai stati un biglietto da visita del cantautore teramano. Ma si, tutto sommato ci stanno a go-go ed il risultato è davvero sorprendente.
"Primavera che sbocci fra i fiori e i colori ed annulli nei raggi di un sole insicuro l’umidore muschioso attaccato a quel muro...". Già, come citano le prime frasi dell'intero album nella splendida title track, ormai è la primavera del 1976, manca davvero poco al grande salto che condurrà Ivan Graziani a Lugano tra i capelli fermi come il lago della contrabbandiera Marta, della vinciniana Gioconda al museo del Louvre, della dolce Agnese sulla spiaggia infuocata o alla Firenze universitaria del barba rossa irlandese, ma i presupposti per sbancare come al tavolo poker ci sono tutti… e anche Ivan “Il chitarrista” lo sa.
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