Dopo l'esperienza con l'Anonima Sound e alcune collaborazioni (Hunka Munka e soprattutto Herbert Pagani), tra il 1973 e il 1974 Ivan Graziani pubblicò tre LP, piuttosto eterogenei tra loro, passati inosservati. Desperation e Tato Tomaso Guitars sono stravaganze interessanti soprattutto per la notevole perizia chitarristica dispiegata in omaggi ai Beatles e al rock'n'roll degli anni '50 (nel primo, cantato in inglese) e in versioni strumentali di alcuni successi del periodo (nel secondo). Di maggior spessore è invece La città che io vorrei, debutto cantautorale dell'artista teramano.

In questo album, basato su voce e chitarra, con suggestivi interventi tastieristici di Roberto Carlotto (Hunka Munka), troviamo già temi, personaggi e atmosfere ricorrenti nei lavori di Graziani, originale cantore della vita di provincia.

Tema portante del disco è il senso di delusione e spaesamento provato da Graziani al ritorno, dopo anni, in una Teramo profondamente mutata, espresso nella canzone che dà il titolo all'album, con immagini idilliache, riferimenti autobiografici e una melodia sognante. In questo contesto di provincia si muovono alcuni personaggi "ai margini" che vivono di sogni, raccontati con divertita malinconia: i vagabondi di Tom Sawyer, Nah Nah Nah e L'ubriaco (ripresa di un brano scritto con Pagani, Les tapis roulants) e soprattutto lo storpio che sogna l'amore nel Campo della fiera, ritratto di un'Italia scomparsa, in cui si vendono giocattoli di latta e galli.

Altro tema è il passaggio all'età adulta, descritto con toni fiabeschi ne L'età gratis e con immagini vivide in A volte in primavera (già comparso in Desperation come Sometimes Maryanna, questo è il brano più complesso del disco, con i suoi improvvisi cambi di ritmo che trasformano un lento di sapore beatlesiano in un boogie sfrenato).

Luisa, strangolata dal suo amante perché troppo perfetta, in una vicenda raccontata con ingenuità e humour nero, inaugura invece la galleria dei ritratti femminili e delle "storiacce".

Piuttosto atipiche Colori (con un testo visionario e un'intensa interpretazione vocale) e Situazione (un blues autoironico e retrò, racconto di disastrosi tentativi di sbrigare le faccende domestiche, mentre la moglie è in ospedale per partorire).

A concludere l'album, l'ottima Chiusura, impreziosita da un solenne assolo d'organo di Carlotto, in cui il cantautore abruzzese descrive il tramonto che scende sulla città, sulla sua gente e sui suoi sogni.

Per anni ignorato da pubblico e critica (e poco considerato dallo stesso Graziani), La città che io vorrei, pur con i suoi limiti (testi ancora acerbi, per quanto non banali e una produzione piuttosto povera), merita una rivalutazione per la sua genuinità e per l'eccellente tecnica chitarristica dispiegata dal suo autore, che qui pose le basi di uno stile inconfondibile, che avrebbe avuto il giusto riconoscimento negli anni successivi.

 

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