L'anarchico giornalista Pietro Gori, sul finire del diciannovesimo secolo, venne accusato dalla stampa borghese di aver preso parte all'omicidio del presidente francese Sadi Carnot. Per evitare quella che sarebbe stata una dura condanna, scappò dall'Italia, trovando rifugio in Svizzera, per l'esattezza a Lugano. La sua permanenza nel paese nun durò molto, e insieme a diciassette esuli politici italiani fu incarcerato per due settimane, prima di essere espulso dalla Svizzera. In quel frangente di tempo compose quella che è definita una delle canzoni manifesto dell'anarchia dell'epoca, 'Il canto degli anarchici espulsi', divenuta poi la popolare 'Addio Lugano bella', per l'esattezza nel 1895. Si racconta che, mentre varcava la frontiera, con le manette al polsi, si fosse girato con lo sguardo verso Lugano trattenendo una lacrima, ma con la speranza nel cuore, la stessa di cui cantò nella sua canzone. 'Addio Lugano bella' divenne ben presto uno dei canti politici più diffusi, che nel bene o nel male rappresenta un' icona dell'epoca in cui fu composta.

Nel 1964 il brano fu ripreso sulla Rai, cosa improbabile al giorno d'oggi per scelta e coraggio, da un gruppo di ragazzi con la chitarra fra le mani. Si tratta di Giorgio Gaber e dell'amico Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Otello Profazio e Silverio Pisu. Si divisero una strofa ciascuno, seduti comodamente ai divani cantando come un gruppo di amici al bar, con lo spessore che solo in pochi si possono permettere, in barba alla carenza d'età che un allora venticinquenne Gaber poteva avere.

Passano 82 anni dalla composizione del canto quando un giovane cantautore decide di riproporre il titolo del brano in chiave melodica. Si chiama Ivan Graziani, virtuoso della sei corde e formidabile paroliere, singolare nella sua proposta musicale, che prevedeva una fusione della classica musica d'autore al rock di quegli anni. Abruzzese di nascita, personaggio sempre discreto e mai fuori luogo, tranne forse per la scelta degli occhiali, singolari come singolare era il suo approccio alla canzone, in bilico tra umoristico e serioso, senza mai cadere nel banale. Un narratore d'altri tempi, un pittore di canzoni, uno per la quale cantare equivaleva a dipingere su tela, per la strepitosa capacità di rendere viva la storia nella mente dell'ascoltatore, quasi come un documentario o un film dell'epoca. Era il 1977 quando il giovane Ivan pubblicò 'I lupi', album contenente quella che è possibile considerare come la prima canzone di successo del giovane cantautore di Teramo, 'Lugano Addio'.

'Allora la canzone che faccio adesso si chiama Lugano Addio. C'è veramente poco da spiegare, è una storia abbastanza semplice di un ragazzo del sul e di una ragazza del nord, chiaramente si innamorano il che è una cosa normalissima, ma si innamora sopratutto di quello che lei rappresenta cioè quello che è il mondo, che è totalmente diverso dal suo.'

Cosi diceva Ivan in un documentario della Rai, prima di riprodurre il brano. E invece c'è tantissimo da spiegare, e ciò che sembra semplice lo è soltanto in modo superficiale. Erano anni in cui certi argomenti andavano trattati con cautela, e l'operazione che compie Graziani in questi scarsi quattro minuti ha del clamoroso. Il pesante significato anarchico politico che portava sulle spalle un titolo come 'Addio Lugano bella', si riduce a dolce ricordo del canto di una ragazza amata, dissolvendo il tutto nel più puro e innocente amore adolescenziale. Di quegli amori ingenui, quasi infantili, troppo piccoli o forse troppo grandi per comprendere il vero significato di un canto popolare inculcato dai genitori, che si rimpicciolisce in maniera esponenziale, divenendo una semplice cantilena.

Cosa vuoi ne sappia Marta, coi suoi seni appesantiti, chiaro segno di crescita e fuga dalla fanciullezza, candida nel suo rassicurante modo di vestirsi, con le scarpe da tennis bianche e blu e la giacca a vento, di lotte e di diritti? E cosa vuoi ne sappia chi, seduto alle rive del lago, le stringe la mano sognando le sue labbra rosse e cantando canzoni? Troppo semplici e smaliziati per rendersi conto di appartenere a due mondi diversi, diametralmente opposti, e troppo fiduciosi nella vita per credere che ciò possa rappresentare un ostacolo. Marta, è figlia di un uomo che ha vissuto tra le battaglie lassù in montagna, tra finanzieri e contrabbando, descritto in modo incomprensibile agli occhi di chi il padre l'ha visto lavorare tra le onde e i pescherecci, tra le spiagge e le stelle, nel dolore di chi soffre. Troppo incomprensibili per qualcuno che vuole ingenuamente scaldarsi ai suoi racconti.

Quello che cent'anni fa era un addio pregno di significato politico e sociale, impegnato nel sudore di chi partiva, diventa ora una lacrima di separazione da quella Marta dipinta così bene nella memoria, del suo indimenticabile sorriso e dei suoi capelli, fermi come il lago.

La dolce chitarra in un esplosione emotiva di suoni introduce la fine del brano, e le domande sorgono spontanee. Chissà se Ivan nel suo essere abruzzese e legato al mare si immedesimasse davvero nel figlio del pescatore. E chissà se con gli anni lo hanno imparato il significato di quella canzone, o se Marta riusciva già a intravederlo, spogliato dal suo contenuto e ridotto a nostalgico ricordo di quelle giornate. Ma a me piace pensare che non sia così. Mi piace ricordarli stringersi la mano e perdersi con gli occhi nel lago di Lugano, con l'innocenza e il sorriso che nessun grigiore sociale può piegare.

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