Quando insisto sul valore altissimo che un cantautore ha nella società, di istinto, penso a Ivan Graziani. Quel chitarrista che chiedeva un occhio di riguardo al suo Dio, e che quel riguardo non lo ha avuto. Ivan Graziani nasce a Teramo il 6 ottobre 1945, e se n'è andato troppo presto il 1 gennaio 1997 a Novafeltria, dove viveva con la sua famiglia. Discreto nella vita, quanto in punto di morte, ha lasciato parlare sempre le sue canzoni, i suoi capolavori e la sua chitarra che suonava con una familiarità, a tratti, disarmante. Capolavori, già, quello che lui sfodera nel 1978 col suo sesto album: "Pigro". Probabilmente è il punto più alto raggiunto dal cantautore teramano che, di diritto, lo fa entrare nell'olimpo della canzone d'autore italiana. Contiene otto storie di vite spezzate dalla pigrizia mentale e dall'indolenza, come si può osservare nei brani "Pigro", "Monna Lisa", "Paolina" e "Gabriele D'annunzio". Questo disco, che da solo vale più di cento Roberto Vecchioni, ha innescato una reazione a catena pèr la nascita di un nuovo genere sulla scena musicale italiana; infatti, Ivan Graziani, si può definire come il primo cantautore rock, insieme a quell'altro gran satanasso di Edoardo Bennato. La canzone "Pigro", che da il nome all'omonimo album, è un lampo di genio assoluto e musicalmente perfetto. Il testo è conciso, incisivo e straordinariamente poetico. La musica regge benissimo tutta la struttura del pezzo, andando a creare un'accopiata perfetta tra suoni ostili e rassicuranti, caldi e freddi. Ora lirico, ma non pateticamente puerile come alcuni pasdaran che affollavano la scena musicale del paese in quegli anni, ora spigolosamente ermetico, aveva un'inclinazione innata per i ritratti di figure femminili. Un esempio lampante, appunto, è proprio "Paolina": è un ritratto dolce, malinconico, liricamente perfetto che ha in se la duplice identità del artistà abruzzese. Riusciva a farti piangere, a scavarti dentro solchi sempre più profondi e sempre più dilanianti, e allo stesso tempo farti arrovellare dentro in riflessioni tra le più disparate e trasversali. Genio totemico, è l'unico cantautore che è riuscito a creare poesia con un assolo di trenta secondi (Olanda) e a scrivere brani su uomini intenti a leggere sopra la tazza del bagno (Io che c'entro). Ha inglobato l'appartenenza del suo pubblico, quel senso di fierezza che qualsiasi amante di Ivan Graziani aveva e, fortunatamente, continua ad avere. Ha incorniciato nell'immaginario collettivo di chiunque, perle di inaudita bellezza come "Fuoco sulla collina", "Ivette senza tette", "Agnese dolce Agnese". E poi ancora brani strazianti come "Firenze (canzone triste)", "Lugano addio" e "Signorina". Dimenticato da questo paese, o comunque insufficientemente ricordato, che brucia tutto così in fretta e che depenna dall'albo della propria coscienza uomini che hanno contribuito a renderlo illustre e, sicuramente, migliore. "Pigro" è un album scevro da qualsiasi ideologia, che non è proprietà privata di nessuno, neanche di Ivan. Ed è un album che critica fortemente il boom del rock progessivo che ci fu all'epoca, così attraente da un punto di vista estetico ma così repulsivo per i contenuti (Al festival slow folk di b-milano). Altro lampo di genio, è la copertina del disco. Di Mario Convertino, che ritrae un maiale con i classici occhiali a montatura rossa indossati da Graziani, vinse il premio di copertina dell'anno. "Un chitarrista deve morire sul palco, davanti alla sua gente". Questo era Ivan Graziani.
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