Il grande mare che avremmo traversato

 

"Io, ma chi sono io, o per meglio dire chi sarei, forse un'altro dei nessuno che

in fondo vive bene e che non cambierà"

"Ma se mi libero un po, se mi lascio andare, sento che si potrebbe anche cambiare…"

("La realtà e il resto")

 

Con queste introspezioni e con questa voglia di conoscersi, inizia il grande viaggio per cielo e per mare, di Ivano Fossati, nel cantautorato italiano.

Ed è proprio quel soave suo richiamo, nella title-track, che lo spinge a chiedersi "cosa c'è più in là.." e a salpare intraprendendo così questa avventura, che attenzione, non serve a trovare denaro o amore o fortuna, ma bensi noi stessi, la nostra anima, il nostro essere. Un vita segnata dal mare della sua Genova come ci dice nel primo verso de "All'ultimo amico":

"Con il mare proprio sotto casa mia, il mio destino in fondo quale vuoi che sia".

 

Bisogna partire subito e senza rimpianti, solo un saluto al nostro più caro amico, e poi via per suadenti terre Brasiliane, "Da Recife a Fortaleza" a "Jangada", due brani strumentali, dove si respirano splendide influenze, atmosfere e sonorità sud-americane. Cosa ci si aspetta da questo tortuoso viaggio lo capiamo in "Canto nuovo", e sono l'essenza della nostra vita: "Tormentoso il cammino sotto un cielo nero, ma che l'uomo diventi uomo vero" e la nostra coerenza esistenziale: "per un giorno di ricchezza non ci venderemo, ci sarà tanto asfalto di meno". Ma non sempre il cammino è facile, e così come nella vita di tutti i giorni, anche per mare si alternano giornate di sole e felicità, a giornate di tempesta e di tristezza, annunciateci da lievi brezze di "Vento Caldo", dopotutto anche il dolore e la solitudine fanno parte del vivere umano: "l'uomo più è vicino al dolore e piu giusto è".

 

 

Il tempo scandito da un ticchettio di un pendolo e profondi echi provenienti da un pozzo costituiscono il tema della strumentale "Il pozzo e il pendolo", che ci catapulta in un crescendo di suspance e di mistero, quasi a voler evocare quelle atmosfere da brivido che solo il buon vecchio Edgar Allan Poe riusciva a dipanare dai suoi racconti. Il viaggio da poco iniziato, sta gia per concludersi, ma ci rimane il tempo per un ultima riflessione, fatta in una giornata cupa, come anche il nostro animo attuale. Così in "Riflessione in un giorno di luce nera", si effettua un bilancio del nostro tempo, fra delusioni amorose, false amicizie e gente che ti apprezza se parli di denaro, accompagnati da un vibrante coro di voci femminili.

Per tutto il disco siamo quindi accompagnati da una sensazione di disagio, tristezza e solitudine che ci spinge a cercare risposte dentro di noi. Il disco si chiude riprendendo il brano iniziale, ma a differenza del primo qui si avverte un senso di sconfitta: "Ora vedo la mia vita, sono un uomo di città, che a perduto la partita e che non ce la fa". Ma non bisogna disperarsi poiche se ascoltiamo meglio, risentiremo ancora il mare che ci invita a rialzarci e a ricominciare un nuovo viaggio:

"Partire, qui davanti a me c'è il mare, ce la potrei fare"

 

Nel disco è particolarmente presente quella voce polpettosa tipica degli inizi di Ivano, da poco baciato dal successo dell'album con i Delirium, ed è anche un disco acerbo e piuttosto scarno, lontanissimo dalle colte composizioni musicali della maturita, che potrebbe anche non piacere ad un primo ascolto, ma che nasconde al suo interno un misterioso fascino.

 

 

 

 

 

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