Con “La disciplina della terra” Fossati chiude un ciclo di album nobili, orgogliosamente diversi, che era iniziato con “La pianta del tè”. Gli album successivi (se si fa l’eccezione di “Not one word”) mostreranno una leggerezza, anch’essa nobile, che si pone in discontinuità soprattutto con l’album qui presente. “La disciplina della terra” è un album intenso e geniale che si pone “in direzione ostinata e contraria” (De Andrè – Fossati, 1996) rispetto alla maggior parte del panorama musicale italiano. L’album si apre con il battito veloce e incalzante di “La mia giovinezza” in cui Fossati afferma “spudoratamente”:

”Sono colpevole di aver nutrito
l’amore e altre deviazioni,
come la malinconia,
come la nostalgia”.

Qui Fossati riesce quindi a toccare argomenti consunti, come l’amore, con un piglio da fuori classe. Segue la canzone che più amo dell’album: “Treno di ferro (ai ragazzi che partono in guerra)”. Il brano inizia con le dolci e tristi note di un pianoforte per poi sfociare in un crescendo a cui partecipano con vigore tutti gli altri strumenti. Fossati intona:

“Buonanotte
buonanotte che vado
vado e non c'è appello
e nemmeno l'ombrello trovo questa notte
così vado anche se piove
anche se dietro le nuvole è tutta luna nuova
vado senza di te
vado senza di te.”

Se si VIVONO queste parole si rischia di sentire la dolcezza del dolore che trasmettono. La canzone successiva è “La disciplina della terra”, suonata ancora al pianoforte e accompagnata da un’orchestra d’archi: canzone manifesto dell’album e strano connubio fra una certa tendenza alla cerebralità tipica di Fossati e una forte ansia di cambiamento:

“Ora ho un contratto con gli angeli
e ti ritrovo di sicuro vita
in qualche mese d'agosto accecante
o in un tempo meno illuso
che vuoi tu.”

Con “Invisibile” arriva il pezzo più “pensato” e meno “sentito” dell’album: la classe rimane alta, ma sembra un pretesto per far sfoggio del suo pensiero. Mi viene in mente “La bottega di filosofia”, da “Lampo viaggiatore” quando dice: “sono un visionario filosofo di bottega che osserva e se ne frega in fondo”: sembra quasi scritta in reazione a canzoni come “Invisibile”. L’intensità dell’album risale vertiginosamente con “Sono tre mesi che non piove”. Basta ascoltarlo cantare:

“Sono tre mesi che non piove
ho sabbia e sale nel letto
peccato e pentimento
ho l'anima falciata
da cui discende la mia razza intera
che ha cuore e pancia di ametista
senza regola di vita
senza luce di luna
oro negli occhi
e soprattutto senza difesa dal dolore.”

per avere i brividi. La successiva “Angelus” è un brano pacato e gentile verso la propria donna che però nasconde una “fame” che possiamo ritrovare anche in “La scala dei santi” da “Macramé”. La quiete di questo brano precede la forte e controversa “Iubileum bolero (ai giubilanti dell’anno duemila)”. Per alcuni questa canzone è un esempio lampante dell’eccessiva pesantezza compositiva raggiunta da Fossati in alcuni casi (canzoni di “stazza” simile sono “Confessioni di Alonso Chisciano” e “Lunario di settembre”), per altri è il culmine della ricercatezza e della libertà espressiva. Nonostante io propenda per la seconda fazione probabilmente entrambi i punti di vista hanno il loro fondamento e la loro dignità. Ma io sono troppo sensibile a versi come:

“Ed ecco lo spirito di un macchinista
che ha visto le Indie occidentali
e latitudini e longitudini e ancora si chiede:
"in quale città andiamo e in quale tempo
soprattutto in quale tempo".

Dopo i fantastici contrappunti jazzistici di Enrico Rava alla tromba e un intenso recitativo di Mercedes Martini si insinua la canzone tradizionale “La rondine”, momento semplice e delicato interpretato da Fossati con Luvi De Andrè (figlia del mai troppo rimpianto Fabrizio). Un ulteriore tuffo al cuore arriva quando emerge “Il motore del sentimento umano”. E’ una canzone d’amore amara e stranita: la voce di Fossati suggerisce eterni smarrimenti quando canta:

“E quali parole servono oggi
a chi non sa scrivere che lettere d'amore
quali passi di poeti e loro piogge e solitudini
piegherebbero il tuo sguardo e il tuo tempo ancora
verso me.”

La fine dell’album è affidata a “Dancing sopra il mare (Panama, parte seconda e finale)” e “Finale (al tempo che si muove)”. La prima è la conclusione del racconto lasciato aperto con la canzone “Panama” dall’album omonimo. La canzone è affidata alla voce recitante di Mercedes Martini e ci immerge nell’atmosfera un po’ malinconica ma giocosa di una crociera in cui si incrociano le vite di molti sognatori che sembrano danzare sulla musica del brano. “Finale (al tempo che si muove)” è una strumentale di grande atmosfera, per pianoforte e orchestra, che indica l’approdo che di lì a poco avrebbe raggiunto Fossati: il suo successivo album “Not one word”.

Per finire solo poche, semplici parole: uno dei punti più alti della canzone italiana.

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