Il futuro si decide nei grattacieli di metallo e vetro e lo decidono quegli impiegati giacca, cravatta e camicie chiare che sono icona della finanza laccata, speculativa, cinica. Il simbolo dei nostri tempi, le truppe che decidono chi, come e quando vincerà. Il sottobosco criminale (perchè questo è) del "trading" è l'ambiente che J. C. Chandor scandaglia con il suo sguardo nel primo lungometraggio della sua carriera.

I colletti bianchi che tutto possono ogni tanto vengono anche licenziati. Così è e così dev'essere. Eric (Stanley Tucci) viene fatto fuori senza preavviso. Deve lasciare il suo studio e i suoi pc. Via anche cellulare ed email. Da essere uno dei grandi manovratori a ritrovarsi in un angolo il passo è breve. Non prima di aver passatto al suo collega Peter (Zachary Quinto) una chiavetta usb con contorno di "stai attento". Perchè prima di essere licenziato, Eric aveva intuito in anticipo il baratro che loro stessi avevano prodotto.

Dietro "Margin Call" c'è la grande crisi dei subprime che ha devastato l'America dal 2008, con la banca J.P. Morgan in primis, quella che versa milioni di dollari al consulente Tony Blair, lui "terza via" e guerre in Iraq tanto per. Complicato sviscerare l'impalcatura finanziaria che Chandor ci racconta nella sua fase del collasso, anche perchè la sceneggiatura è spesso criptica, problema di cui soffre anche "A Most Violent Year", suo ultimo film. Ciò che emerge è l'assonanza tra la complessità intricata del tema e l'impianto registico: il cineasta costruisce un film quasi esclusivamente di interni, dove scelta delle inquadrature e fotografia (Frank DeMarco) hanno la rara capacità di rendere claustrofobico e straniante ogni singolo angusto spazio degli uffici teatro della vicenda. Come se questi grandi e opportunisti manovratori siano poi loro stessi ingabbiati dall'alienante scenario di asettiche e anonime stanze.

Il tema "magnum" della finanza ha da sempre affascinato e trovato spazio nel mondo cinematografico, in particolare quello a stelle e striscie. Per questo i rimandi di Margin Call sono diversi e facilmente riscontrabili, pur con le dovute differenze. "Margin Call" non è il "Wall Street" di Oliver Stone, dove la scalata sociale e la volontà di innalzare il proprio status erano motore trainante della storia. Nell'opera di Chandor il tema dell'ascesa rimane in secondo piano, in favore di un intreccio di sceneggiatura che pone i vari personaggi di fronte alla moralità delle proprie scelte. Ma loro sono quelli che i soldi non li perdono mai...quelli che con due clic decidono il futuro di centinaia di migliaia di azionisti e acquirenti vari. Nelle ambiguità di scrittura, nei ritmi che si dilatano fino a rovinare nella seconda metà, nella semplicità quasi teatrale del film, "Margin Call" ha tutti i suoi punti forti e quelli deboli. Chandor anticipa quì, quello che farà anche in futuro: il suo è un lavoro di "sottrazione", di dettagli che dicono ma non completano, di pochi personaggi ("All is lost") e ambienti circoscritti. La sua umanità è racchiusa in posizioni e posti che non può fuggire. Perchè quello di Chandor è un cinema di solitudine e paura. Se poi ci si fa aiutare da gente come Kevin Spacey, Demi Moore e Jeremy Irons tanto meglio.

"Ci sono tre modi per andare avanti in questo campo: essere i primi, essere i più in gamba o imbrogliare".

7,5

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