Sarà un detto trito e ritrito, ma a volte è proprio vero che dice più un’immagine di cento parole. Ed è un peccato che nell’odierno panorama musicale non molti artisti cerchino o riescano a comunicare tramite l’artwork dei dischi, la musica da essi composta.
Non è il caso dell’esordio di Jacco Gardner, 24enne olandese, la cui immagine di copertina cristallizza perfettamente le sensazioni che si provano ascoltando il disco. Un bimbo col k-way rosso fuoco, sperso in una foresta fra il fiabesco e il remotamente inquietante, tutta muschi e conifere, fisso col naso all’insù a osservare il cielo. Un perfetto quadretto dell’approccio fanciullesco, quasi naif, di Gardner nei confronti del pop psych dei ’60. Se a qualcuno è già venuto in mente il cappellaio matto Syd Barrett, ha centrato il bersaglio grosso.
Croce e delizia per almeno 4 generazioni di ascoltatori e musicisti, il buon Syd continua ad affascinare nuovi ascoltatori, sia nel periodo Pink Floyd che in quella subito successivo dei tre album solisti. Proprio in virtù di quella spensieratezza fanciullesca che applicava al mondo dell’introspezione psichedelica al tempo nascente. Un ineguagliato equilibrio fra rigidi retaggi vittoriani e la libertà abbracciata con lo slancio e l’incoscienza del bambino. Inutile dire, però, che il buon Jacco riesce solo a far ritornare la mente a Syd e a tutto quel fervido periodo della musica britannica, e funziona più come un promemoria per gli smemorati, che un tentativo di riattualizzazione di quei suoni.
Jacco ha suonato e registrato quasi tutto da solo, e bisogna ammettere che il lavoro di cesello fatto sui suoni e le melodie è fenomenale. L’iniziale “Clear The Air”, con quella sua coda psichedelica, è l’unione quasi perfetta fra i primi Floyd e Donovan; “Where Will You Go” trascina in una terra sognante fra l’odierna Albione e la consorella mitica, Avalon; la titletrack strumentale è uno struggersi psych folk da antologia.
Disco quindi di pop 60’s cristallino, con excursus simil prog (“The Riddle”), e folk psych dal sapore medievale (“The One Eyed King”, “Watching The Moon”), oltre che almeno due piccoli gioiellini: “Lullaby” simil spin-off del Syd solista (ma in grado di intendere e di volere) e “Puppets Dangling”, frullato delle influenze sopracitate.
Attenzione, il grado di apprezzamento del disco può variare tantissimo da quanti di questi suoni avete macinato negli anni; potrebbe affascinarvi, quanto nausearvi per la troppa fedeltà alle fonti.
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