Il nuovo millennio, invece che un Apocalisse tecnologica o militare come si paventava venti anni fa, ci ha portato una rinascita alquanto diffusa del verbo psichedelico, in qualsiasi forma: da quella heavy, spaziale, folk, fino all'elettronica primitiva, quella di ispirazione teutonica per lo più.

Fra i tanti artisti usciti negli ultimi 6/7 anni una piccola nicchia di culto era riuscito a ritagliarsela il menestrello olandese Jacco Gardner, autore di un bel disco pop fol psych nel 2013. Molto debitore del verbo Barrettiano, riusciva comunque a dare un tocco personale ai suoi brani. Col successivo “Hypnophobia” continuava su quel solco, ma senza l'effetto sorpresa la sua formula sembrava già uno dei molteplici (e falliti) tentativi di riaggiornamento dell'afflato psichedelico dei tardi '60. Quindi non risulta strana l'uscita un po' in sordina, sul finire del 2018, della terza fatica “Somnium”. Capirete quindi che la curiosità era poca, se non nulla, perchè ero sicuro che il ragazzo avesse imbroccato il fantomatico cul de sac artistico di prassi. E come spesso capita, mi sbagliavo.

“Somnium” rialza clamorosamente le quotazioni dell'oramai trentenne Jacco, riuscendo ad essere probabilmente il miglior disco da lui fatto finora. Innanzitutto siamo di fronte ad un disco strumentale, quasi totalmente centrato sull'utilizzo di synth analogici, oscillatori e tutta quella chincaglieria proto futurista dei medi '70. La sensazione è quella di una colonna sonora di qualche film di fantascienza degli anni '70, ma con un anima malinconica quasi hippie.

Ed è proprio una visione distopico psichedelica (vista con gli occhi di un teenager dei primi anni '70) quella che evocano le 12 tracce del disco. Difficile scegliere le migliori, personalmente trovo bellissime le prime due che passano lo stesso tema dai synth di “Rising” alla ballad seguente a base di organo, tablas e acustica (“Volva”); oppure il tributo ai primi Air di “Past Navigator” che sfuma in una “Levania” confinante a territori limitrofi agli Stereolab. Fino alla psichedelia ipnotica e spaziale di “Rain”, e a una idea di pop song robotica come potevano intenderla i Kraftwerk (“Privolva”).

Fra le cose migliori in campo psichedelico dell'anno appena passato.

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