Flaming Creatures è un mediometraggio sperimentale dI 43 minuti del 1963 diretto da Jack Smith. Il film è considerato una delle opere più significative del New American Cinema.

In una rivista cinematografica dell’epoca, un critico cinematografico lituano, naturalizzato americano, scrisse addirittura che Flaming Creatures è il film americano più importante del dopoguerra!

Si tratta di un film sperimentale, praticamente impossibile da catalogare in un genere, ma potrò dirvi qualcosa sul girato.

Il film non ha una trama, non ha dialoghi, non ha un inizio, uno svolgimento, una fine. È dunque un flusso di immagini supportate da una colonna sonora composta da vari brani musicali.

Jack Smith, all’epoca, soleva tenere delle festicciole sulla terrazza di uno scalcinato cinema americano, nei bassifondi, vicino Brooklin …ma manco a Brooklin bensì al suo quartierino attiguo (non ricordo il nome) ancor più sporco e degradato….è come se a Roma dici la Garbatella ma invece stai a Tormarancio (dalla parte sbagliata della Colombo).

Di cosa “parla” il film? Il film non parla, l’ho già detto. Il film riprende spezzoni dei parties che organizzava Jack sulla terrazza; Sherazade Party, li chiamava. Erano parties selvaggi, sgangherati, a base di sesso e presumo anche droga e rock and roll…

Jack con la sua piccola cinepresa si limita a girovagare tra la gente “en travestì” uomini travestiti da donna, donne travestite da uomini, mezzi nudi, mezzi matti, mezzi “liberi”. Mezze orge, mezzi stupri, cazzi di fuori, fiche pelose, tette di fuori, mica si capisce niente, è tutto simbolico, è tutto figurativo, è tutto reale.

Riprende con una pellicola in bianco e nero scaduta, l’effetto è straniante, fastidioso, sembra un film di Dreyer degli ann 30 fatto male, malissimo. La pellicola letteralmente cade a pezzi, la luce sparata esplode in un bianco accecante, il sonoro, distorto pur’esso, accompagna le immagini.

Prima della considerazione a seguire, vi dirò che una cosa l’ho trovata davvero interessante, notevole, gagliarda: la scelta dei brani musicali che cambiavano a seconda delle sequenze. Erano, come dire “perfetti” (e questo è il complimento più brutto che si possa fare a questo film).

Detto questo, non ha alcun senso recensire “tecnicamente” quest’opera putrida e delirante (visivamente è una merda senza precedenti) ma mi rendo conto che cercando di attribuire degli aggettivi per descriverla, già mi schiero. Mi schiero nel mondo convenzionale, fatto di regole (millenarie), di sovrastrutture, di clichè, di regole, regolette, di righe e Flaming Creatures non è che è sopra le righe, Flaming Creatures le righe le cancella.

Ed è questo il senso dell’opera, un grido di protesta, urlato a squarciagola da mille Tarzan, all’America ed al suo fottuto “dream”, ai borghesi, ai bigotti, a tutto il cucuzzaro. Una critica al sistema, feroce, selvaggia, oscena, un manrovescio in pieno volto con l'anello, un vaffanculo urlato da un coro di alpini ubriachi (ma non erano mille Tarzan? massì ma che cazzo ce frega, è uguale...) sul cucuzzolo della montagna con l'eco che si propaga giù a valle, fino al paesello, fino alla chiesa, a far tremare le panche di legno, a sollevar la polvere in sagrestia ...senza stare a fare troppo il capiscione, a differenza dei suoi colleghi europei, penso a un Antonioni, a un Truffaut, a un Bunuel…

Nel marzo del 1964 la polizia ha fatto irruzione in una sala cinematografica di New York sequestrando una copia e proibendone la proiezione nello Stato con l'accusa di oscenità. Jonas Mekas, Susan Sontag, Shirley Clarke, Allen Ginsberg e altri intellettuali si sono spesi a difesa della libera circolazione del film, dando vita a una celebre battaglia legale.

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