In un'ottica soggettiva, un buon disco è esattamente come un buon libro: deve cercare di catturare l'ascoltatore (il lettore, nel caso del libro) fin dalle prime note, fin dalle prime canzoni. Oppure, in caso contrario, si rischia di lasciare lungo la strada le fila del discorso che il musicista, oppure lo scrittore, vorrebbe che andasse avanti; e alla fine dei giochi resterebbe solo una buona impressione di una manciata di capitoli sparsi, di una manciata di canzoni sparse.
La disposizione dei brani in "Right Now!", disco del leggendario altosassofonista Jackie McLaen e pubblicato dalla Blue Note nel 1965, è invece una disposizione logica e calibrata: una disposizione linerare, che non farà distogliere l'attenzione neanche per un secondo.
Molta di questa farina arriva dal sacco di "Eco", ovvero il brano che apre il disco. La dirompenza del fraseggio di McLean in "Eco" è la quintessenza del pezzo e del disco stesso, ed è un marchio ben visibile fin dalle prime battute: una formula strutturalmente costante e vincente come nel resto del disco, fatta da un fraseggio nevrotico, dinamico, segnato da stilettate martellanti che non lasciano tregua, se non quando la sezione ritmica, che vede Clifford Jarvis alla batteria e Bob Cranshaw al contrabbasso, adagia armonicamente il pezzo alla fine ogni fine frase, per poi far riprendere la corsa, in cui McLean da' fiato a tutto il suo affascinante Free dal sapore modale e puntellato da richiami Hard Bop; un linguaggio che per certi versi ricorda alcuni passaggi della carriera di Phil Woods. "Poor Eric" ci porta alla seconda tappa, ed ha un fascino struggente, quasi da la morte mi fa bella. Una malinconica e decadente litania che segna profondamente: una autentica marcia funebre metropolitana che Larry Willis, alla sua prima discografica, ha voluto dedicare ad Eric Dolphy. Un Larry Willis che, prima nelle vesti di autore del brano e poi nelle vesti di esecutore al piano, sfoggia tutta la sua matura sensibilità che lo porta a raggiungere lo status di perfetto alter ego di McLean, creando una affiatata e palpabile alchimia nel concreto della esecuzione, ma allo stesso tempo sfuggente nella concettualità del pezzo; proprio come un velo che si sente ma non si vede. Il sax di McLean in "Poor Eric" è plumbeo ma non minaccioso, e quando comincia a tracciare il tema, affiancato dal contrabbasso di Cranshaw, il quale proprio in occasione della esposizione del tema viene suonato con l'archetto, le note prolungate enfatizzano un senso di angoscia sfocata.
Il terzetto portante del disco lo chiude il pezzo omonino del disco: "Right Now" è un pezzo armonicamente accattivante, orecchiabile, e in cui la libertà di McLean aspira e raggiunge vette molto alte, portando il linguaggio Free al trionfo definitivo. "Christel's Time", sempre uscita dalla penna di Willis e una versione alternativa di "Right Now", non presente nell'edizione originale del disco, chiudono questo capolavoro che sancisce uno dei punti più alti toccati da McLean nella sua carriera ed uno dei punti più alti mai toccati nello sterminato bacino chiamato Jazz.
Compratelo e godete.
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