Nel dipinto che lo raffigura per la copertina di “Invitation”, Jaco ha il volto disteso, cesellato da fini tonalità di giallo e celeste, e verde acquerello; indossa una maglia sportiva blue, ha i capelli raccolti in una coda celata ed un grande ombrello rosso poggiato sulla spalla gli fa da cornice, aggiungendo un non so che di solare ed estatico. Quel sapore di divertito, quel tocco di freschezza agreste che fa espandere a pieno regime i polmoni... una pittoresca istantanea che sprigiona a ventaglio la ricca gamma di qualità contenute in quella potente chimera creativa nota ai più con il nome di John Francis (Jaco) Pastorius III.

E di creatività Jaco ne aveva da vendere quando saltava come un pazzo, con incredibile maestria (sui palchi di mezzo mondo), dai be bop più estremi e laceranti alle sontuose rivisitazioni in stile edulcorato dei mostri sacri della musica contemporanea (da Coltrane e Parker a Miles Davis, ai Beatles ecc.) mediando tutto attraverso la sua incredibile personalità di arrangiatore e performer consumato. Per chi ha amato lo stile libertino, percussivo e noisy la dove non è melodico o dal groove pazzesco, l’encomiabile maturazione artistica del superbo bassista-compositore (completo e mostruosamente espressivo già a pochi anni di distanza dai primi approcci allo strumento) che porta a compimento l’ideale incontro-scontro creativo tra le direttrici del jazz, del rock, del blues, del funk, della soul, della classica (e chi più ne ha più ne metta), è manifesta, catturata dalla magia live di “Invitation”, in modo esemplare, elevata da un sound robusto in gran parte plasmato da una maniacale e certosina cura nell’orchestrazione.

Diffidate dalle imitazioni. A parere del sottoscritto “Invitation” (1983) è il live di Pastorius per eccellenza; qui Jaco mostra tutte le sue credenziali, supportato dalla big band Word of Mouth (che annovera tra le proprie file musicisti eccelsi quali Othello Molineaux - steel drum, Jean “Toots” Thielemans all’armonica, il “malefico” Peter Erskine alla batteria, la coppia Randy Brecker, tromba – Bobby Mintzer, sassofono, il fedele Don Alias alle percussioni, più una imponente sezione di fiati) e da una qualità di registrazione al limite della perfezione. In questo contesto “Reza” è la suprema sintesi del talento puro. Per chi pensa ad una proposta generale sicuramente elegante ma un po’ retrò, forse nostalgica degli stilemi degli anni ‘50 e ’60, una formula lontana dalle contaminazioni del jazz più avantgarde ecco servita questa incredibile mini suite: un giro di basso minaccioso, un ritmo infernale di batteria, nervose fughe di sax che si sgonfiano esplodendo poi in portentosi impeti free, un gong appena accarezzato schiudono le porte del Pantheon del jazz, la sacra arena calcata dalle gesta dell’eroe Coltrane (l’intermezzo di “Giant Steps”, con protagonista Molineaux), più che omaggiato direi impreziosito dal contributo, in apertura e chiusura (che spetta in un crescendo mozzafiato al basso distorto di Pastorius) delle due “Reza”.

Come nel romantico dialogo con l’armonica di Thielemans in “Sophisticated Lady” (di Duke Ellington), che sembra pennellare tenui atmosfere urbane, così in tutto l’album il lavoro di Jaco è perfettamente dosato ed estraneo a qualsiasi forma di protagonismo autocelebrativo votato allo shred; oltre al consueto vasto repertorio fatto di arpeggi, licks vertiginosi, accordi e falsi armonici ecc. infatti l’unico vero momento di svago lo troviamo nel fulminante brano di apertura “Invitation”. Notevole anche la versione, più breve rispetto a quella in studio, di “Liberty City” che qui non perde nemmeno un briciolo di leggerezza e fantasia, il walking circolare di “The Chicken” liberato dal “Soul Intro”, il rock’n’roll trascinante e ballabile “Fannie Mae” (con immancabile prova canora di Jaco) e la stralunata “Eleven” che chiude l’album con un pizzico di follia; nei toni dolci di “Amerika” e “Continuum” troviamo invece i momenti più soffusi dove il basso si eleva a pura poesia.

Gettando un’occhiata alla copertina ed ascoltando questa musica un trionfo di pensieri, immagini si affollano, si rincorrono cercando il modo migliore per celebrare Jaco. Esuberante, curioso, iperattivo, dalla spiccata sensibilità, un virtuoso si può dire in tutti i sensi; tutte qualità che assurgono in pieno, nel bene e nel male, a connotati della sua parabola stilistico-esistenziale, segnata tragicamente una notte di Settembre nel 1987. Quel giorno la musica ha perso un grande protagonista.

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