Prologo
Anno 2112. Leggere, scrivere -ma anche semplicemente ideare una recensione- è reato.
Le piazze di Devaron baluginano di vampe-affumicate alimentate da supporti musicali d'ogni risma, hard-disk di testate on-line, convulsi papier su oscure band di surf-sniviano e foglietti su cui scribani d'ogni multiverso vergavano giudizi bonari e invettive risentite.
I
"Pane azzimato? Latte ad alta-dirigibiltà?? Repellente per fanfare???".
Il commesso del Trompe-market, il bugigattolo incastonato fra il quartiere Ocra e il Vultanodromo come una pustola-irritata sulle chiappe di un Dug sta ancora fissando il foglietto ma fa già "no-no" con una delle sue tre teste.
"Tutto questo non ha senso"- dice. Non sa ancora che la lista è un fake.
"Ora te lo dico io, cos'è che non ha senso"- dico, "Che nessuno qui conosca i Jacob's Mouse"- dico, mentre inserisco il mio jack-ombelicale nella filodiffusione del drug-store.
"Tutti a terra"- sbraita una bocca del commesso- "Ha una recensione! Una recensione!!"- strillano le altre due.
II
Gli speaker diffondono l'incipit di "Good", incagliato peggio d'una puntina su un vinile rigato. I Jacob's hanno un che di "settantesco", soprattutto nel terzo disco d'una carriera durata poco meno d'un lustro ('91-'95), ed il mood indie-rock sembra rilassare gli avventori del Trompe.
Quando irrompe il ritmo bislacco di "Group of 7" e la batteria di Sam Marsh (successivamente con gli hard-corers Volunteers) dirotta sul mid-tempo, l'andazzo si fa psicotropo. Tre ziltoidiani cominciano a ballare. Il commesso ondeggia a turno i suoi capoccioni.
E' un clima fugace, perchè con l'isterica "Palace" s'attizza il distorsore di uno dei gemelli Boothby, e la situazione vira al punk-abbestia. Uno ziltodiano sputa un grumo rossastro in faccia all'atro. Il commesso si ficca una mano nella sacca-scapolare e comincia a masturbarsi.
Per fortuna l'autoparlante sta già scandendo "Sag Bag" (e d'altronde è tutto l'elleppì -con la sua mezz'oretta scarsa- a sfilar via come una stella cadente il giorno di Krull) . Il basso gommoso, che ricorda gli Weezer degli esordi, riecheggia circolare fino al banco-frigo.
Il lettore è alla traccia 7, "B12 Marmite", vera summa dell'intero progetto. Nel breve volgere di 3' infatti, transita dalle chitarre infoiate al basso ultra-fuzz (Mudhoney oriented) dell'altro gemello Boothby, per ripiombare sull'inflenza 70's del cantato e rinserrarsi paciosa fra lo psichedelico e il noise.
Tempo dell'ultima rullata, e una testa del commesso espolde, vaporizzando sangue bluastro sui soffitti del market. Bene, procede tutto secondo il piano- penso.
Epilogo
Quando entra il campionamento vocale di "Apathy", il mio ombelico sta sanguinando. Gli Ziltodiani sono a terra, riversi in una pozza di liquame. Il commesso è arricciato sul bancone, in coma, o semplicemente in estasi. Da una fila di pomodori sott'olio sbuca fuori un Kobaiano, che si dirige verso di me. Non doveva essere qui, questo è un problema- penso. Mi affretto a riavvolgere il jack, ma il tipo è già sotto il mio grugno.
Con la mano affastellata da dita ritorte come denti squaliformi m'afferra il polso e lo torce.
"Kobaia iss de Hundin"- sibila, "Anteria Kommandoh".
Non so cosa voglia dire, ma suona un cazzo promettente.
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