Considerando la fama de “Dieci Piccoli Indiani”, classicissimo del giallo, ovvio che un libro che ha per titolo “L’Undicesimo Piccolo Indiano” non possa che creare curiosità e aspettative. Il libro è opera di una coppia di autori francesi, Yves Jacquemard e Jean-Michel Sénécal, che nella seconda parte degli anni settanta scrisse alcuni gialli di successo in Francia, ed è un omaggio dichiarato alla scrittrice inglese.
L’idea di partenza è sicuramente intrigante: quella di utilizzare come scena del delitto un teatro dove una compagnia di attori è impegnata in una lunga serie di rappresentazioni di un adattamento teatrale del libro di Agatha Christie. E lo è ancora di più intrigante per la scelta fatta dai due autori di utilizzare il racconto in prima persona ad opera proprio dell’attore che interpreta la parte del colpevole degli eventi di Nigger Island.
Gli elementi per catturare fin da subito l’attenzione del lettore non mancano. Nel presentargli i propri colleghi, il narratore gli da ad intendere in più occasioni che saranno loro le vittime del delitto, così come i personaggi che interpretano lo sono nel libro della Christie. L’altra consapevolezza che il lettore ha fin da subito per una banale deduzione, è che l’unico attore che rimarrà in vita è quello maggiormente sospetto per il ruolo che interpreta nella rappresentazione teatrale.
Avuta luogo la serie di delitti principale, a mano a mano che le indagini proseguono e la vicenda prende forma, pare andare perdendosi quasi del tutto il collegamento con le vicende narrate dalla Christie. Ad un certo punto della lettura si arriva anche a pensare che ai fini del racconto l’opera teatrale che la compagnia era impegnata a rappresentare prima dei delitti, avrebbe potuto essere una qualsiasi opera teatrale e non sarebbe cambiato nulla, le vicende avrebbero potuto svolgersi ugualmente così come sono narrate fino a quel momento.
La ricerca della soluzione del caso è uno sforzo deduttivo a due, del detective di polizia di turno e dell’attore/narratore della vicenda. E' un lavoro da “salotto” più che altro, molti rovelli, chiacchiere e rielaborazioni di fatti con le chiappe sprofondate in poltrona, in casa dell’uno o dell’altro o in casa delle persone da loro interrogate. Pochi pericoli, poco lavoro sul campo alla ricerca degli indizi sporcandosi le scarpe secondo la vecchia scuola di Sherlok Holmes. Questa parte del racconto è costruita in prevalenza con i dialoghi, e fortunatamente sono creati con una certa abilità. Il ritmo non è incalzante ma la lettura è comunque piacevole.
Le acque ribollono all’improvviso nel finale, in cui viene ritrovato il filo logico che collega le vicende narrate in questo libro con quelle dei “Dieci Piccoli Indiani”. Si susseguono alcuni colpi di scena, in ognuno dei quali la mira viene spostata su un bersaglio diverso utilizzando alcune delle soluzioni più famose ingegnate dalla scrittrice inglese. Ancora omaggi per lei da parte dei due autori, che però a mio parere esagerano un po’ troppo nel far girare a vuoto il lettore su false piste, la sensazione di avere per le mani una caricatura di libro giallo è dietro l’angolo. Viene così sottratta intensità al momento in cui viene svelato il vero colpevole, quello che dovrebbe essere il colpo migliore che i due autori avevano in serbo per il lettore.
Ripensando a bocce ferme all’enigma ideato, il mio parere è che si tratti di una buona idea che non è stata sviluppata nel migliore dei modi. Il libro è comunque divertente e lo consiglio. Per gli eventuali interessati occorrerà fare un po’ di fatica per procurarselo, è fuori catalogo da una vita. Ho utilizzato la copertina di un' edizione francese perché quella italiana fa cagare.
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