Jakatta è l'ultimo pseudonimo di Dave Lee, salito agli altari del panorama house-underground con quello di Joey Negro, per intenderci ai tempi del boom Newyorkese aperto da Frankie Knuckles e da David Morales poco più di dieci anni fa.
Il nostro ha acquistato credito con i produttori in quel periodo d'oro del genere, sfruttando commercialmente la vicinanza del suo stile a quello americano (mentre è nato e vive in U.K. e, se non vado errato, dovrebbe essere tuttora il residente del Babooska).
Quando è cominciato il declino delle fortune dei 12" di qualità prodotti dai DJ (qualcuno ricorda le bibliche uscite sull'etichetta Frrr, ogni tanto rispolvero Chimes di Orbital e mi vengono i brividi, poi accendo il riscaldamento...), sempre con lo pseudonimo di Joey Negro segue la scia e produce pezzi di artisti solidi commercialmente che rinnovano la propria veste rendendo hits da discoteca hits radiofonici (Pet Shop Boys, Diana Ross, informatevi con il link, please).
Poi cominciano ad uscire Hits da discoteca concepiti come tali e lui prova a curarne alcune produzioni, tra cui, mi auguro, sarete riusciti a schivare quella dei Thake That (where should I take and, moreover, what?).

Calato il favore dello pseudonimo storico, bruciatene altri con cosette non molto apprezzate, Dave Lee è ritornato in questro momento in cui i dj più maturi, più bravi e più creativi, anche grazie alla maggior propensione a fornire entrate con le performance live, dato il precipizio in cui lo scambio informatico ha gettato quelle in studio, vengono messi quasi sullo stesso piano degli artisti che suonano strumenti.
Dave è ritornato con lo pseudonimo di "Jakatta" che tanto gli ha portato fortuna quando si è divertito a remixare il tema di "American Beauty" (che capolavoro! usque tandem, nanerottoli, il de-baser cinematografico?), e che ha conservato per stampare questo cd costruito sul detto remix e su altri spunti, quali la canzone "originale" poppeggiante affidata alla voce di Seal e qualche altra rielaborazione.
Dave è ritornato con questo cd, che è un cd povero di lavoro dedicato, allungato oltre l'ora con intro e alternates, povero pure di genio, ma che ha la strabiliante capacità di sfiorare praticamente tutte le varie sezioni della musica elettronica, dalla house alla chill out, con alcune incursioni in quella strumentale; e non è affatto facile. Vi prego di acoltare con tranquillità, oltre alle già citate, la reinterpretazione di "Betty Blue", la raffinata delicatezza dei suoni da radiomontecarlari che lo rende un must nel suo genere, e la dolcezza, estrema. Per tutte, "Home Away From You" e "One Fine Day", con quest'ultima che l'ascolti e t'innamori di Beth Hirsch: l'unica cosa che ho trovato più Air degli Air (ops, mi sorge il dubbio, che l'abbia copiato né più né meno come io copiavo a scuola la traccia per il disegno artistico con la lampada sotto il vetro trasparente! :-).

Comunque, pregi e difetti, Dave Lee è tornato, uno che se è stato un mostro sacro non è stato per caso, ed è tornato con un album piacevolissimo, che magari lascerà sopravvivere chi non voglia avere la grazia di ascoltarlo, ma che difficilmente potrà disturbare chi vorrà farlo e, caso rarissimo per albums che non sono capolavori e che gli vale una stella in più, parimenti non disturberà chi vorrà riascoltarlo più volte.
Bravo Dave, sei tornato, quanto ti fermi?

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