Ho tutte le intenzioni di osannare questo LP e sono pronta anche al linciaggio. Incuriosita dalla recensione super negativa assegnata da Rolling Stone Italia (una stella su cinque), ho voluto ascoltare anche io questo album tanto per capire se dovevo aggiungermi al coro dei "A morte!!", oppure no.
Invece sono rimasta imbrigliata nella rete emotiva che James Blake costruisce; impigliata senza possibilità di tornare indietro e mai pentita di avere fatto una passo verso l'ignoto.
Ignoto perché ammetto che mi ero persa il suo album d'esordio del 2011, osannato dalla critica come un masterpiece tanto che si sono dovuti inventare un nuovo nome per definire la musica di questo giovane artista: post-dubstep.
Se vi lascerete trascinare all'interno di questo LP intenso, muscolare, studiato fino al dettaglio più insignificante, cerebrale ma liberatorio allo stesso tempo, non ve ne pentirete.
Fin dal primo brano, la title track "Overgrown", la voce ambivalente di James Blake trasmette intensità e intenzione; desolazione dell'anima sintetizzata in bassi malinconici. Un uso della voce classicamente soul che si mescola a suoni elettronici perfetti, pieni e corposi per quanto scarni rispetto al genere a cui vengono accostati (il dubstep, appunto).
"Life Around Here" per esempio, ha una base trip-hop su cui scorre la voce vellutata di Blake che ti accarezza l'anima con fraseggi e costruzioni vocali puramente soul-gospel.
Si passa da intricate realtà psicologiche dettate da beat, suoni bianchi e registrazioni in loop di schemi vocali strazianti, a brani semplici dove è il pianoforte a primeggiare perfino sulla voce; come in "Dlm" che scorre rapida con amarezza e solida tristezza.
Oppure "To the Last", che è emotivamente perfetta: la vocalità di Blake si avvicina in maniera pericolosa a quell'intensità propria di un'interpretazione di Antony Hegarty o di un ispiratissimo Bon Iver. Lentamente si scivola verso la dolce e pacata conclusione di questo album che nella versione Deluxe si conclude con una "Every Day I Ran"; qui c'è più caos, il disagio di chi fuori dal reale è tangibile. Sembra un esorcismo, potrebbe suggerire disordine ma nella quasi totale mancanza di lyrics sensate e compiute e nella sistematicità dei beat, l'ordine c'è eccome.
Sperimentazione coraggiosa anche nelle collaborazioni presenti in questo full-length: "Take A Fall For Me", è un mezzo demone con cui combattere. Prima delle due collaborazioni presenti nell'LP, è forse il brano meno collocabile perché spezza un po' l'andamento generale dell'album. Il featuring di RZA (leader di fatto del Wu-Tang Clan), è un rap sommesso e cupo e non troppo di classe come invece arriva all'orecchio il resto del lavoro di Blake.
Mentre l'altra collaborazione dell'LP è quella con Brian Eno, che ho preferito: "Digital Lion" è una danza tribale claustrofobica composta da quattro minuti catartici, metodicamente perfetti costruiti tra synth, alternanza di voce e post-dubstep ridotto all'osso.
Dopo averlo ascoltato un paio di volte ho ben capito perché chi ama il rock puro e crudissimo - e soprattutto chi rimane fossilizzato su preconcetti dell'era mesozoica (l'ho scritto veramente?!) - non possa apprezzare un album di questo calibro: troppo introspettivo, troppo lento e troppo studiato nel dettaglio per chi apprezza i sound immediati e molto più istintivi del rock n' roll. Che è poi lo stesso mondo da cui "provengo" io, ma tant'è.
Io sono convinta invece che scegliere percorsi alternativi però sia tutt'altro che una mossa logica o studiata a tappeto ed è per questo che nonostante tutta la ricerca, la preparazione pre-registrazione compiuta per questo piccolo miracolo di elettronica con l'anima, io riesca a vedere l'immediatezza e la genuinità di questo ragazzo che riesce a esprimersi mescolando generi all'apparenza opposti, in un nuovo modo di comunicare e fare musica.
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