Meglio il cantautorato raffinato da transatlantico o la fumosa dubstep da bassifondi londinesi. Puntare sulla tecnologia delle macchine o prediligere piuttosto l’approccio vocale. E se poi dopo tutto ci si limiti semplicemente ad assecondare le proprie pulsioni artistiche senza porsi una meta?
Nel corso degli anni tanti chilometri sono stati percorsi. Le tasche si sono via via svuotare. Sassolini di varia forma e grandezza sono stati gettati sull’asfalto ora asciutto ora umido. Un percorso in itinere dove la meta è lo stesso viaggio. Ed il piacere è la continua scoperta e la crescita personale anziché il risultato. Non si parla di uno sport di misura come il calcio, ma di visioni appartenenti ad una dimensione più intima. Il viandante qui si chiama James Blake.
“Playing Robots into Heaven” è l’ultimo viaggio che invita a fare anche a noi. Un percorso fatto di contrasti nei colori e negli umori. Una montagna russa fatta di ripide salite e rinfrescanti discese. Far muovere noi stessi può renderci liberi, ma portare il fardello in certi momenti può diventare impegnativo. Bisogna camminare nell’oggi, anche pochi passi al giorno a fine giornata saranno importanti.
Dieci anni fa c’era solo lui nella sua stanzetta intento a suonare note di piano delicate. Oggi quel piano è stato trasportato in una discoteca deserta dei sobborghi metropolitani. L’atmosfera è notturna, oscura, ma mai opprimente. Il viaggio è movimento e spesso anche interazione, ma qui si riflette, si cammina e poi si balla (“Fall Back” - “Tell me”) da soli. Là fuori una nebbia bassa si confonde con i fumi industriali sputati via dagli scarichi. C’è una grossa azienda con decine di edifici che ruba il panorama. Il capitano d’industria si chiama Burial e sembra sia un pezzo grosso dell’establishment cittadino.
Dentro il locale le luci illuminano un palco dove ci sono soltanto strumenti e macchine. La musica viene riprodotta in loop senza un pubblico. Le luci vanno e vengono, come i ritmi del disco che risultano spezzati, destrutturati ed impastati con sample vocali ed effetti. Quando invece il re è nudo, con l’elettronica che fa mezzo passo indietro, si prende il bivio per l’ascensione celestiale (“Asking to Break” - “Loading” e “I Want you to Know”).
Adesso le salite iniziano a farsi più impegnative, l’aria diventa più rarefatta e le gambe iniziano a sentire la fatica. Dall’alto il paesaggio urbano sembra sempre più lontano.
Ad un tratto c’è una porta di servizio (“Playing Robot into Heaven”). Ci apre il sig. Brian Eno. Entriamo e veniamo trasportati nel mondo dell’incoscienza da fumi soporiferi. Ci sveglieremo il giorno dopo. Saremo insieme ai robot in paradiso intenti a suonare per qualche entità o forse toccherà ripartire il viaggio daccapo con ancora più convinzione. Avremo comunque già imparato qualcosa di nuovo.
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