Lo spunto per rispolverare questo film è banale e proviene dall’altra parte del mondo. Quanto accaduto un paio di mesi fa mi ha fatto venire voglia di rivedere una pellicola datata della quale serbavo un buon ricordo che, tuttavia, stava sfumando. Credo che La Sindrome Cinese sia un prodotto cinematografico volutamente scarno (pochissime ambientazioni, dialoghi secchi, regia minimale) proprio per fare in modo che l’occhio di bue rimanga costantemente incentrato sul monito che lancia.

 

Una troupe televisiva, mentre sta svolgendo un servizio giornalistico all’interno di una centrale nucleare per spiegarne il funzionamento e l'utilità al grande pubblico, assiste ad un’improvvisa situazione di emergenza. Il guasto, nonostante venga successivamente minimizzato da parte dei responsabili dello stabilimento, appare fin da subito di enorme entità ma nulla sarebbe successo se un addetto alle riprese, (Michael Douglas), non avesse registrato di nascosto gli attimi di puro panico all'interno della sala di controllo.

Con questo filmato al tritolo a disposizione, un'insostenibile spada di Damocle per la società che gestisce la centrale, inizia un buon thriller ambientalista. Nella sua foga espositiva, (Jane Fonda fin troppo nella parte e con un'estremizzazione dei personaggi negativi), corre il rischio di poter essere ritenuto dal pubblico come troppo fazioso e poco realista nelle sue infauste e tetre previsioni. La tensione tuttavia rimane sufficientemente alta fino in fondo e la presa è garantita grazie ad un Lemmon eccelso anche in un ruolo particolarmente drammatico. E’ facile intuire come il suo personaggio, quello del tecnico che si rende conto del pericolo incombente e cerca di porvi disperatamente rimedio, nell’intento del film dovrebbe incarnare quello della popolazione statunitense in un prossimo futuro.

E’ una trama che, per quanto possa essere esagerata e tacciata di poco equilibrio espositivo, è interessante e meritevole di segnalazione. Si fonda sulla convinzione che l’essere umano sia un animale fortemente egocentrico, arrivista ed incapace di avere una visione di lungo periodo essendo accecato dalla continua ricerca di benefici immediati. Nello specifico non si dubita che le centrali, se edificate/controllate costantemente seguendo tutti gli stringenti parametri di sicurezza previsti, possano essere delle fortezze funzionali nell‘erogare energia. Il problema evidenziato è che questi impianti, che accentrano interessi economici giganteschi, debbano giocoforza essere costruite/gestite/revisionate dall’uomo.

Si potrebbe quindi dire che “La Sindrome Cinese” sia un film incentrato sulla scoperta dell'acqua calda. Forse è vero, ma ritengo che ogni tanto mettere la mano sotto il getto fumante per dire, ritraendola subito, “cazzo scotta” non sia poi un gran male.

L'opera sottolinea come un ipotetico incidente nucleare, (la gestione delle scorie è un elemento, ahimé, solamente sfiorato), a differenza di qualsiasi altro disastro causato dall’uomo, porterebbe ripercussioni ed effetti difficilmente quantificabili. E i contorni temporali sarebbero incerti e fumosi, forse celati o mitigati dai mezzi di informazione. “La Sindrome Cinese” infatti non lesina un affondo tagliente anche nei confronti dei mass media: un ambiente che viene descritto meschino, maschilista e cinico nel quale le informazioni diffuse alla popolazione sono spesso frutto di manipolazione, censura e revisione.

Un buon film si può definire tale se riesce ad invecchiare bene. Il fulcro della pellicola, che è stata finita di girare nel 1979 prima degli incidenti di Three Mile Island e Chernobyl, purtroppo è fottutamente arzillo. Sarebbe bello poter dire il contrario, ma è un dato di fatto che gli interrogativi che solleva rimangano attualissimi.

Tanto mi basta per consigliarvi la visione, certo che potrà far nascere scoppiettanti discussioni dividendo il pubblico.

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