Il fratello scemo di First Man. Una schifezza che sarà costata almeno cento milioni di dollari e si preannuncia come un bel flop al botteghino. Hollywood può fare di peggio? Sì, ma qui siamo davvero giù in basso. Un potpourri indigesto (pensavo fosse la pizza un po' pesante che ho mangiato a cena, poi ho capito che era proprio il film a conciliare il sonno), che mescola a caso un po' di topoi (non sono quelli morti della peperonata) delle opere sullo spazio di questi ultimi anni e non solo.
Li mescola e li rovina, come da tradizione per i prodotti di maniera. Ma facciamo un passo indietro. Prima di entrare in sala mi sono detto: speriamo non sia la cronaca passo passo di sto qua che va su Nettuno, non se ne può più delle cronache spaziali. È andata proprio al contrario, è tutta un'odissea da quattro soldi con le fermate della via crucis che sono la Luna, Marte, la stazione orbitante, la base x e la base y.
Ma per riempire due ore non bastano le seghe mentali e il controllo del battito ogni due per tre; bisogna che succeda qualcosa. Allora ecco i pirati del lato oscuro della Luna, con le macchinine che sembrano di Lego, la scimmia che mangia gli astronauti (davvero), la sparatoria sull'astronave, i super salti tra frammenti rocciosi, proteggendosi con il portellone. Roba che Armageddon e The Martian sembrano film d'autore. Per non parlare invece di Gravity e Interstellar. Tutto ciò che hanno detto di buono quei film viene qui dimenticato o bellamente ignorato. Patetico il tentativo di imitare lo stile pensoso e corrucciato di First Man, non essendoci qui i contenuti del film di Chazelle. È uno spazio per lo spazio, tanto per usare quella cornice lì.
Tutto sembra tenere in serbo un finale degno, un colpo di coda. Ma è un ulteriore inciampo, un pieno di significati presunti (il figlio che raggiunge il padre ai confini del sistema solare, per scoprire la verità dietro a quel silenzio, le possibili macchinazioni dello SpaceCom, i risvolti crudeli dell'uomo) si rivela un vuoto di argomenti. Una quadratura di comodo, per far tornare tutto senza strappi eccessivi. Un lieto fine a tutti i costi.
(spoiler) Unico tocco quasi poetico è la testardaggine di un uomo che non vuole arrendesi alla mancanza di vita aliena nello spazio esplorabile. L'attesa infinita, la morbosa esplorazione che non può e non vuole fare i conti con la mancanza di un oltre ulteriore. Peccato che non abbia alcun senso andare fino a Nettuno per mandare questi segnali a presunte civiltà extraterrestri, come mi spiega un amico appassionato che scrive libri di fantascienza. Viene in mente lo splendido Contact di Zemeckis (1997), con quei grandiosi radiotelescopi.
Il padre astronauta confessa al figlio di non aver mai pensato a lui e a sua madre durante le missioni. Un tocco amaro, interessante ma sterile in un contesto simile. Un spunto troppo debole per giustificare due ore di gran varietà a passo di lumaca tra pianeti e navette spaziali. E con gli spippolamenti sentimentali, per giunta.
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